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QUINTO.
XXII.
E F osa pure, e 1 tenta, e ne riporta
In vece di castigo onore e laude:
E v* è chi ne '1 consiglia, e ne F esorta,
( O vergogna comune ! ) e chi gli applaude.
Ma se Gosfredo il vede, e gli comporta,
Che di ciò, eh'a te dessi, egli ti fraudej
Noi soffrir tu: né già sofFrir lo dei,
Ma ciò che puoi diinostra, e ciò che sei.
XXIII.
Al suon di queste voci arde lo sdegno,
E cresee in lui quasi commossa face:
Nè capendo nel cor gonfiato e pregno,
Per gli occhi n'esee, e per la lingua audace.
Ciò che di riprensibile e d'indegno
Crede in Rinaldo, a suo disnor non tace :
Superbo e vano il finge, e '1 suo valore
Chiama temerità pazza e furore.
XXIV.
E quanto di magnanimo, e d'altero,
E d'eccelso, e d'illustre in lui risplende,
Tutto ( adombrando con mal' arti il vero )
Pur come vizio sia biasma e riprende :
E ne ragiona sì, che 1 cavaliero
Emulo suo, pubblico il suon n'intende.
Non però sfoga Y ira, o si rasfrena
Quel cieco impeto in lui, eh'a morte il mena.
XXV.
Che'l reo demon, che la sua lingua move
Di spirto in vece, e forma ogni suo detto,
Fa , che gl'ingiusli oltraggi ogn'or rinnove,
Esca aggiungendo all'infiammato petto.
Loco è nel Campo asfai capace, dove
S'aduna sempre un bel drappello eletto ;
E quivi insieme in torneamenti, e in lotte
Rendon le membra vigorose e dotte.
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