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XLII.
Sorrise allor Rinaldo, e con un volto,
In cui tra'l riso lampeggiò lo sdegno :
Difenda su a ragion ne' ceppi involto
Chi servo è, disse, o d'essser servo è degno j
Libero i nacqui , e vi (Ti, e morrò sciolto
Pria che man porga o piede a laccio indegno:
Usa alla spada è quella delira, ed usa
Alle palme, e vii nodo ella ricusa.
XLIII.
Ma, s a' meriti miei quella mercede
Goffredo rende, e vuole imprigionarme,
Pur com' io foiTi un uom del vulgo, e crede
A carcere plebeo legato trarrne ;
Venga egli, o mandi, io terrò fermo il piede:
Giudici nan tra noi la sorte, e l'arme:
Fera tragedia vuol, che s'appresenti
Per lor diporto alle nemiche genti.
XLIV.
Ciò detto, F armi chiede, e 1 capo e '1 bullo
Di fi ni (simo accia jo adorno rende,
E fa del grande seudo il braccio onuslo,
E la fatale spada al fianco appende :
E in sembiante magnanimo ed augurio,
Come folgore suol, nell' armi splende .
Marte, e5 rassembra te, qualor dal quinto
Cielo di ferro seendi , e d'orror cinto.
XLV.
Tancredi intanto i feri spirti, e '1 core
Insuperbito d' ammollir procura.
Giovine invitto, dice, al tuo valore
So che fia piana ogni erta impresa e dura:
So che fra l'armi sempre , e fra '1 terrore
La tua eccelsa virtute è più sicura.
Ma non consenta Dio, ch'ella si moslri
Oggi sì crudelmente a danni nosfcri.
 
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