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OTTAVO.
xxx.
Me per ministro a tua sallite eletto
Ha quel Signor, che 'ri ogni parte regna:
Che per ignobil mezzo oprar esfetto
Meraviglioio ed alto ei non isdegna.
Né men vorrà che sì resti negletto
Quel corpo , in cui già vi (Te alma sì degna
Lo qual con essa ancor lucido e leve,
E immortai fatto riunir si deve.
xxxi.
Dico il corpo di Sveno, a cui fi a data
Tomba a tanto valor conveniente,
La qual a dito mostra, ed onorata
Ancor sarà dalla futura gente.
Ma leva ornai gli occhi alle (telle, e guata
Là splender quella, come un Sol lucente :
Questa co' vivi raggi or ti conduce
Là dove è il corpo del tuo nohii Duce,
xxxii.
Allor vegg' io, che dalla bella face,
Anzi dal Sol notturno un raggio scende:
Che dritto là dove il gran corpo giace,
Quasi aureo tratto di pennel, si (tende:
E sovra lui tal lume e tanto face,
Ch' ogni sua piaga ne sfavilla e splende :
E subito da me si raffigura
Nella sittigu ign a orribile mi (tura.
xxxiii.
Giacea prono non già, ma come volto
Ebbe sempre alle stelle il suo desire,
Dritto ei teneva inverso il cielo il volto,
In guisa d'uom, che pur là suso aspire.
Chiusa la destra, e '1 pugno avea raccolto,
E stretto il ferro, e in atto è di ferire :
L' altra sui petto in modo umile e pio
Si posa, e par che perdon chieggia a Dio.
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