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NONO.

XXXVIII.
A quel grido, a quel colpo in lui converse
Il barbaro crudel la spada e Y ira.
Gli aprì l'usbergo, e pria lo seudo aperse,
Cui sette volte un duro cuojo aggira:
E'1 ferro nelle viseere gY immerle.
Il misero Latin singhiozza e spira ,
E con vomito alterno or gli trabocca
Il sangue per la piaga, or per la bocca.
xxxix.
Come neir Apennin robusta pianta,
Che sprezzò d'Euro, e d'Aquilon la guerra,
Se turbo inusitato alfin la schianta,
Gli alberi intorno minando atterra 5
Cosi cade egli, e la sua furia è tanta,
Che più d'un seco tragge, a cui s'asferra,
E ben d'uom sì feroce è degno fine,
Che faccia ancor morendo alte ruine.
XL.
Mentre il Soldati ssogando l'odio interno
Pasce un lungo digiun ne' corpi umani 3
Gli Arabi inanimiti aspro governo
Anch' elsi fanno de' guerrier Crisliani.
L'Inglese Enrico, e'1 Bavaro Oliferno
Muojono, o fer Dragutte, alle tue mani.
A Gilberto, a Filippo Ariadeno
Toglie la vita, i quai nacquer sui Reno.
XLI.
Albazar con la mazza abbatte Ernesto :
Sotto Algazel cade Engerlan di spada.
Ma chi narrar potria quel modo o quello
Di morte, e quanta plebe ignobil cada?
Sin da que' primi gridi erasì desto
Goffredo, e non islava intanto a bada.
Già tutto è armato, e già raccolto un grosfo
Drappello ha seco, e già con lor s'è molso.
( 109 )
 
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