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UNDECIMO.

XXXVIII.
Gran mole intanto è di là su rivolta
Per cento mani al gran bisogno pronte,
Che sovra la testuggine più folta
Ruina, e par che vi trabocchi un monte :
E degli seudi l'union disciolta
Più d'un elmo vi frange, e d' una fronte :
E ne riman la terra sparsa, e rossa
D'arme, di sangue, di cervella, e d'ossa.
xxxix.
L'asTalitor allor sotto al coperto
Delle macchine sue più non ripara :
Ma dai ciechi perigli al risehio aperto
Fuori se n' esee, e sua virtù dichiara.
Altri appoggia le scale, e va per F erto :
Altri percuote i fondamenti a gara.
Ne crolla il muro, e ruinoso i fianchi
Già felli mostra all' impeto de' Franchi.
XL.
E ben cadeva alle percosse orrende,
Che doppia in lui l'espugnator montone -,
Ma sin da' merli il popolo il difende
Con usata di guerra arte, e ragione:
Ch'ovunque la gran trave in lui si stende,
Cala fasei di lana, e gli frappone.
Prende in se le percosse, e fa più lente
La materia arrendevole e cedente.
XLI.
Mentre con tal valor s'erano strette
Le audaci schiere alla tenzon murale,
Curvò Clorinda sette volte, e sette
Rallentò 1' arco, e n' avventò lo strale :
E quante in giù se ne volar saette,
Tante s'insanguinaro il ferro e l'ale,
Non di sangue plebeo , ma del più degno
Che sprezza quell'altera ignobil segno.
 
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