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DUODECIMO.
vi.
Ma s'egli avverrà pur che mia ventura
Nel mio ritorno mi rinchiuda il passb^
D'uom, che 'n amor m'è padre a te la cura
E delle care mie donzelle io lassb.
Tu nell' Egitto rimandar proccura
Le donne sconsolate, e '1 vecchio lassb.
Fallo y per Dio, Signor $ che di pietate
Ben è degno quel sessb, e quella etate.
vii.
Stupisce Argante, e ripercossb il petto
Da (limoli di gloria acuti sente.
Tu là n' andrai, rispose, e me negletto
Qui lascierai tra la vulgare gente?
E da sicura parte avrò diletto
Mirar il fumo, e la favilla ardente?
No no, se fui nell' arme a te consorte,
EsTer vuò nella gloria, e nella morte.
Vili.
Ho core anch' io, che morte sprezza, e crede
Che ben si cambi con Fonor la vita,
Ben ne festi, diss' ella, eterna fede
Con quella tua si generosa uscita.
Pure io femmina sono, e nulla riede
Mia morte in danno alla Città smarrita.
Ma se tu cadi ( tolga il Ciel gli augurj )
Or chi sarà che più difenda i muri ?
ix.
Replicò il Cavaliere : indarno adduci
Al mio fermo voler fallaci seuse.
Seguirò l'orme tue, se mi conduci5
Ma le precorrerò, se mi ricuse.
Concordi al Re ne vanno, il qual fra i duci
E fra i più saggi suoi gli accolse e chiuse.
E incominciò Clorinda : o Sire attendi
A ciò, che dir voglianti, e in grado il prendi
( 139 )
 
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