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3é3

D E C I M 0 T E R Z 0.

XXX.

Chiamato da Goffredo indugia, e scuse
Trova all' indugio ; e di restarsi agogna.
Pur va, ma lento : e tien le labbra chiuse,
O gli ragiona in guisa d'uom che sogna.
Difetto e fuga il Capitan conchiuse
In lui da quella insolita vergogna.
Poi diise: or ciò che fia? forsè prestigj
Son quelli , o di natura alti prodigj ?
xxxi.
Ma s'alcun v'è cui nobil voglia accenda
Di cercar que' salvatichi soggiorni^
Vadane pure, e la ventura imprenda,
E nunzio almen più certo a noi ritorni.
Cosi diss' egli} e la gran lei va orrenda
Tentata fu ne' tre seguenti giorni
Dai più famoli : e pur alcun non fue,
Che non fuggilse alle minaccie sue.
XXXII.
Era il Prence Tancredi intanto sorto
A seppellir la sua diletta amica:
E benché in volto sia languido e smorto,
E mal atto a portar elmo e lorica $
Nulladimen , poiché '1 bisogno ha scorto,
Ei non ricusa il rischio, o la fatica :
Che 1 cor vivace il suo vigor trasfonde
Al corpo sì, che par ch'elso n'abbonde.
XXXIII.
Valsene il valoroso in se ristretto,
E tacito, e guardingo al rischio ignoto:
E sostien della selva il fero aspetto,
E '1 gran romor del tuono , e del tremoto :
E nulla sbigottisce: e sol nel petto
Sente, ma torto il seda, un picciol moto.
Trapassa 5 ed ecco in quel silvestre loco
Sorge improvvisa la città del foco.
( 156 )
 
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