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C M N T 0
XXXIV.
Tacque -, e'1 nobil Garzon restò per poco
Spazio confuso, e senza moto e voce.
Ma poi che diè vergogna a sdegno loco,
Sdegno guerrier della ragion feroce ;
E eh' al rosìor del volto un novo foco
Succede che più avvampa, e che più coce j
Squarciossi i vani fregi, e quelle indegne
Pompe, di servitù misere insegne.
XXXV.
Ed afiPrettò il partire, e della torta
Confusione uscì del labirinto.
Intanto Armida della regal porta
Mirò giacere il fier custode estinto.
Sospettò prima, e si fu poseia accorta,
Ch' era il suo caro al dipartirli accinto :
E1 vide ( ahi fera vilìa ) al dolce albergo
Dar frettoloso fuggitivo il tergo.
XXXVI.
Volea gridar : dove, o crudel, me sola
Lasci ? ma il varco al suon chiuse il dolore
Sicché tornò la ssebile parola
Più amara indietro a rimbombar sui core.
Misera, i suoi diletti ora le invola
Forza e saper del suo saper maggiore.
Ella se '1 vede, e invan pur s' argomenta
Di ritenerlo, e Y arti sue ritenta.
XXXVII-
Quante mormorò mai profane note
Tessala maga con la bocca immonda :
Ciò ch'arredar può le celesti rote,
E l'ombre trar della prigion profonda y
Sapea ben tutto: e pur oprar non puote,
Ch' almen F Inferno al suo parlar risponda.
Lascia gl'incanti, e vuol provar se vaga
E supplice beltà si a miglior maga.
 
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