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C ùé N T 0
CXXXVIII.
Contra il maggior Buglione il deslrier punge:
Che nemico veder non sa più degno.
E morirà, ov' egli passa, ov'egli giunge
Di valor disperato ultimo segno.
Ma pria ch'arrivi a lui, grida da lunge :
Ecco per le tue mani a morir vèglio j
Ma tenterò nella caduta eslrema,
Che la mina mia ti colga , e prema.
CXXXIX.
Così gli disse ; e in un medesmo punto
L'un verso l'altro per ferir lì lancia.
Rotto lo seudo , e disarmato, e punto
Ex il manco braccio al Capitan di Francia.
L'altro da lui con sì gran colpo è giunto
Sovra i confin della sinistra guancia,
Che ne stordisee in sulla sella : e mentre
Risorger vuol, cade trafitto il ventre.
CXL.
Morto il duce Emireno, ornai sol resta
Picciol avanzo di gran Campo estinto.
Segue i vinti Goffredo, e poi s'arreda 3
Ch' Altamor vede a pie di sangue tinto,
Con mezza spada, e con mezzo elmo in testa
Da cento lancie ripercosso e cinto.
Grida egli a' luoi: cessate: e tu barone,
Renditi ( io son Goffredo ) a me prigione.
CXLI.
Colui, che sino allor l'animo grande
Ad alcun atto d'umiltà non torse j
Ora ch'ode quel nome, onde si spande
Sì chiaro suon dagli Etiopi all' Orse ;
Gli risponde : farò quanto dimande,
Che ne sei degno (e l'arme in man gli porse)
Ma la vittoria tua sovra Altamoro
Ne di gloria fia povera, ne d'oro.
 
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