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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 16.1913

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Fasc. 5
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Papini, Roberto: La costruzione del duomo di Pisa
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https://doi.org/10.11588/diglit.24140#0433

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LA COSTRUZIONE DEL DUOMO DI RISA

399

io credevo usata solo nel 1260 : da ciò egli tenta di
dedurre, contro a ciò che già disse bene il Fontana,
una conferma alla sua conclusione che « alla metà del
xn secolo l’edificio fosse nel suo insieme compiuto»;
mentre quella formula usata nel 1234 non significa
altro che questo : che cioè i lavori che io ho supposto
avviati nel 1260 erano cominciati già del 1234 e che
quindi essi erano di tale entità da giustificare piena-
mente l’importanza di una nuova costruzione.

Nè ciò basfa al Supino : egli scrive, parlando delle
epigrafi intarsiate della facciata che non v’è « nessun
dubbio sui caratteri della epigrafe che appartengono
al secolo xn .. . La lettera E è il tipo schiettamente
classico». Ebbene, nè pure a farlo apposta, proprio
nella stessa pag. 17 della sua Memoria il Supino ha
riprodotto le due epigrafi intarsiate della facciata ed
in una di queste, là dove dice DOMINE ET la E
di ET è « decisamente goticizzante » come io avevo
affermato e come il Supino nella stessa pagina nega
che sia.1

Così il Supino, sostenendo che la tomba di Bu-
schetto non fu alterata, sostiene che la ripetizione
dell’epigrafe quod, vi.r mille fu contemporanea alle
altre due, non accorgendosi che i caratteri paleogra-
fici sono diversi nella piccola epigrafe da quelli della
ripetizione in grande ; e per accorgersene egli non
doveva far altro che guardare la piccola riproduzione
che dell’epigrafe egli dà sempre nella stessa pag. 18
in cui cerca di dimostrare il contrario.

Nè mi sembra affatto una prova decisiva il fatto
che l’epigrafe sepolcrale di maestro Guglielmo, che
nel 1162 aveva scolpito il pergamo perii Duomo, ora
a Cagliari, si trovi nella base del pilastro angolare
sinistro della facciata, poiché nè si conosce la data
della morte di maestro Guglielmo nè si può asserire
che quella pietra stia ancora nel posto che ebbe in
origine.

Riguardo poi alle porte che nel 1100 i pisani avreb-
bero avuto da Goffredo di Buglione, che nel 1116
avrebbero recato a Pisa e che nel 1180 ebbero da
Bonanno scultore, chi vieta di credere che esse fos-
sero fatte per l’antica facciata e che poi si riadattas-
sero nella nuova? Le imposte di Bonanno di fronte
al Campanile non son forse in una porta aperta quando
la decorazione esterna della parete era già compiuta
e nella stessa epoca della costruzione dell’attuale fac-
ciata? (Cfr. Catalogo delle cose d’arte. Pisa. 1, pa-
gina 24).

E che importa se Burgundio di Tado fece fare in-
torno al Duomo uno zoccolo invece di una gradinata,
quando il fatto che egli fece fare questo necessario
compimento all’edificio resta indiscusso a convalidare

1 Le forme goticizzanti alternate con le classiche nell’ E e
nella M si trovano a perfetto riscontro anche nella epigrafe di
Bonaccorso da Padula datata del 1244 e conservata nel Campo
Santo.

l’ipotesi che intorno al 1280 l’edificio stesso fosse da
poco ultimato nella sua forma attuale?

Infine il Supino parla dei capitelli della facciata e
mi fa dire — non so perchè — cose che non mi son
mai sognato di dire. Giudichi il lettore :

« Nella prima galleria — dice il Supino — i capi-
telli che il Papini assegna senz’altro a Nicola sono
cinque; nella seconda quattro e nella terza e nella
quarta non ve n’ha nemmeno uno»; mentre io avevo
scritto semplicemente così : « Ognuno comprende come
l’osservazione dell’esistenza di due capitelli di mano,
probabilmente, di Nicola e di alcuni altri logicamente
attribuibili a scolari ed aiuti di lui, sia di una impor-
tanza grandissima...». Dove ho mai attribuito sen-
z’altro a Nicola nove capitelli della facciata? Sfido il
Supino a provare questa sua asserzione completamente
gratuita ! 1

11 Supino, che si meraviglia del fatto che i capi-
telli goticizzanti diminuiscono di numero nelle gallerie
andando verso il cnhuine della facciata, dovrebbe ri-
cordarsi che in un documento a Ini ben noto (cfr. Mi-
lanesi, Doc. per la storia dell’arte senese. Siena.
Porri. 1854, pagg. 145 e 146) è affermato in modo
chiaro come Nicola e i suoi discepoli fossero distolti
dai loro lavori nel Duomo di Pisa e nel Battistero per
andare a lavorare il pergamo di Siena; infatti nel
contratto stipulato con Fra Melano, operaio del Duomo
di Siena, il 5 ottobre 1266 Nicola si riserva di poter
tornare a Pisa quattro volte l’anno « prò factis ope-
ris Sancte Marie Maioris ecclesie pisane et ecclesie
sancti Iohannis Baptiste ad consiliandum ipsa opera »
e i due operai del Duomo e del Battistero sono così
gelosi dell’osservanza di questo patto che intervengono
essi stessi come testimoni alla stipulazione del con-
tratto.

Quale interpretazione vuol dare il Supino a questo
documento? Che cosa faceva, secondo lui, Nicola al
maggior tempio pisano nel 1266? Che cosa aveva da
consigliare e da operare di così importante Nicola se
il pulpito del Battistero era finito da sei anni, se il
Campo Santo non era ancora incominciato, se la co-
struzione del Duomo era compiuta, come egli suppone,
circa un secolo prima?

Io non credo che, per quanto riguarda i docu-
menti, il Supino possa continuare a concludere «che
documenti e monumento in mirabile accordo mostrino
con palese evidenza l’origine quasi contemporanea di
tutte le parti dell’edificio che porta in sè la migliore
testimonianza della omogeneità del suo organismo
architettonico ».

1 Avviene lo stesso col Fleury a cui il Supino fa dire, per co-
modo di confutazione, ciò che egli non ha mai detto. Il Fleury
diceva che «le pian primitif se rapprochait beaucoup plus de la
forme grecque » in confronto alla pianta attuale. E il Supino scrive
che il « quinto pilastro. .. non rappresenta per nulla la terminazione
di una croce greca » cosa che il Fleury non aveva detto mai.
 
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