Il papiro.
Questo, come vedemmo, era disteso, più volte ripiegato, sopra il secondo sarcofago di Cha.
È di fibra finissima, sottile e tenace, di colore giallo chiaro. Alto cm. 35 e lungo circa sedici metri,
in uno stato di conservazione quasi perfetto, è uno dei più notevoli papiri funerarii a noi
pervenuti.
Scritto in geroglifici del tipo caratteristico dei papiri funerarii della diciottesima Dinastia,
contiene 32 capitoli del Peremhru, ed è adorno di belle illustrazioni o miniature a colori; bel-
lissima fra le altre la scena della adorazione ad Osiride, colla quale il papiro si inizia (Fig. 31).
Del Peremhru o «libro di uscire alla luce» già avemmo occasione di far cenno parlando
dei frammenti di questo testo religioso scritti sulle fascie che avvolgevano la mummia della
Principessa Aahmesit, e delle iscrizioni della tomba della Regina Nofertari-, ed a quanto allora
si disse aggiungeremo poche considerazioni.
Il Peremhru, che lo Champollion aveva designato col titolo di « Rituale funerario » e che il
Lepsius più opportunamente intitolò « Libro dei morti », si potrebbe con più precisione definire
« Libro di preghiere per i morti » o « Ufficio dei morti », se si voglia adottare un termine proprio
della attuale nostra liturgia. Esso non è però nè un libro liturgico nè un corpo organico di
dottrine religiose ; ma è semplicemente una silloge o raggruppamento di numerosi e svariatis-
simi testi religiosi, diversi per origine, per tempo e per contenuto, aventi però tutti attinenza
diretta o indiretta colla condizione dei trapassati nella vita oltremondana.
Sebbene i testi che fanno parte del Peremhru sieno quasi tutti, quali più, quali meno,
antichissimi e risalgano, secondo la tradizione, al periodo delle prime Dinastie, tuttavia il loro
raggruppamento nel Peremhru non è molto antico, non trovandosene traccia anteriormente alla
XVIIa Dinastia ; nè d’altra parte il Peremhru prese forme relativamente determinate e fisse se
non in tempo assai tardo, a cominciare cioè presso a poco dal periodo saitico, mentre nel
periodo precedente, che si suol dire periodo tebano, aveva forme vaghe e mutevoli, non essendo
nè determinati nè fìssi i testi che dovevano costituirlo, e tanto meno era fisso l’ordine in cui i