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OTTAVO.

xxxvm.
Retta che sappia tu chi sia colui,
Che deve della spada esser erede.
Questi è Rinaldo il giovinetto, a cui
Il pregio di fortezza ogn'altro cede.
A lui la porgi, e dì, che sol da lui
L'alta vendetta il Cielo , e '1 mondo chiede.
Or mentre io le sue voci intento ascolto,
Fui da miracol novo a sé rivolto.
XXXIX.
Che là dove il cadavero giacea,
Ebbi improvviso un gran sepolcro scorto,
Che sorgendo rinchiuso in se Y avea,
Come non so, nè con qual' arte sorto :
E in brevi note altrui vi si sponea
Il nome, e la virtù del guerrier morto.
Io non sapea da tal vista levarmi,
Mirando ora le lettre, ed ora i marmi.
XL.
Qui, disse il Vecchio, appresso ai fidi amici
Giacerà del tuo Duce il corpo ascoso;
Mentre gli spirti amando in Ciel felici
Godon perpetuo bene e glorioso.
Ma tu col pianto ornai gli estremi uficj
Pagato hai loro: e tempo è di riposo.
Ode mio ne sarai , sinch' al viaggio
Mattutin ti risvegli il novo raggio.
XLI.
Tacque j e per lochi ora sublimi or cupi
Mi scorse, onde a gran pena il fianco traili ;
Sinch' ove pende da selvaggie rupi
Cava spelonca, raccogliemmo i passi.
Quello è il suo albergo: ivi fra gli orli e i lupi,
Col discepolo suo sicuro stassi 5
Che difesa miglior eh' usbergo e seudo,
Ev la santa innocenza al petto ignudo.
 
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