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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 21.1918

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Fasc. 1
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Venturi, Adolfo: Un quadro di Pierro della Francesca in America
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https://doi.org/10.11588/diglit.17338#0030

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ADOLFO VENTURI

Alto dal suolo il regolo sottile della croce; disposti a scacchiera i tre giocatori di dadi, a ras-
sodar col loro largo piedistallo i piedi dell'asta che traversa il quadro: le quattro pie donne
da un lato, Giovanni e i tre soldati dall'altro, equilibrati di qua e di là dal Crocefisso; due masse
di equivalenza perfetta elevate a quinte, ai margini del quadro, chiudenti col loro peso la vasta
cerchia delle figure. TI piano di marmo anfratto ricorda il dittico urbinate, come il paese veduto
dall'alto nei suoi cumuli tondi e schiacciati di colline orlate di muschio e valicate da strade in pieno
sole, dominate da un grande albero nero, solitario, a mazzo conico, simile a quelli degli affre-
schi aretini della Morte di Adamo e del Trasporlo della croce. La croce, centro del quadro, ri-
pete il suo simbolo nello stupendo gruppo delle Marie: tra la Maddalena chiusa nel rosso involucro
scanalato del manto, e un'altra Maria, il cui profilo bianco si distacca per un lembo di stoffa
scura dal niveo cavallo del Centurione, due figure, la Vergine e una pia donna, coincidono,
divergendo appena per il vario atteggiamento delle teste; eretta quella della pietosa, cadente
a fissarsi sulla spalla di lei la testa della Vergine stretta al suo sostegno. Maddalena fronteggia,
puro termine architettonico, la donna seminascosta dal cavallo bianco. L'esattezza matematica
dell' accentramento compone con monumentalità senza pari intorno alla Vergine le tre Marie
diritte, impersonali e mute: stasi assoluta informa il gruppo delle pie donne, come quello dei
giocatori, le cui dita si arrestano ai lembi della carta, pietrificate improvvisamente. Di là dal sin-
tetico gruppo delle Marie, e da Giovanni proteso alla croce, un'altra forte sintesi pittorica: il gruppo
dei soldati chiusi dagli ampli scudi, a due a due, in un solo grande guscio di testuggine, dal quale
emergono, con regolarità impassibile, due bulbi periati e due bulbi scuri di elmi, e aste di stendardi
e di lande erette, con la schematica rigidità dei tronchi di Piero, a traversar il cielo di bruni vellu-
tati e a immergervi tornite punte d'argento puro. Lo spirito classico di Piero vive in questo
gruppo di paggi appaiati entro il mezzo cilindro degli scudi, piantati al suolo dai pioli massicci
dei grandi piedi, e fissati entro lo spazio dal pausato allineamento di aste e vessilli. Il potente
cilindrico giro della stoffa d'uno stendardo, affatto simile, nella sua gonfiezza immota, agli
stendardi a vela della Sconfitta di Cosroe, bilancia nel cielo l'ampia curvatura del nucleo di
armati. Di là dai gruppi delle Marie e dei fanti, i due gruppi che più ricordano le pitture
di San Francesco d'Arezzo: armati su cavalli bianchi e neri accosti, raccolti intorno ai fissi
rottili degli stendardi. Il comandante, nel gruppo a destra, fermo sul cavallo nero impennato,
in piena luce sotto il grande bacino dell'elmo, è una figura che le scene di battaglia negli affreschi
aretini hanno fissato nel nostro ricordo, variata solo dall'ieratico gesto di comando; ma sovrat-
tutto grandioso, in questi gruppi di argine, il centurione sul cavallo bianco spianato dallo scorcio
con gli stessi risultati pittorici largamente usati in Arezzo; gruppo che dista di poco, per monu-
mentalità, come per fermezza di stasi, come per l'immedesimazione del cavaliere fermo sulle staffe
e del cavallo radicato al suolo, dal monumento dell'Acuto, superandolo per il risalto sulle vive
tinte del fondo di bianchi nivei e di argenti periati.

Come in tutte le opere di Piero, il simbolismo delle forme geometriche è evidente per tutto:
nel denso fiocco argenteo di una coda di destriero, nella chioma a cono degli alberi o nelle
pieghe coniche di un manto o in un mezzo disco tornito entro il piano a crepe del suolo. Gruppi
e paese, in questa piccola Crocefissione ----- dramma pietrificato alla pari delle battaglie di Costan-
tino e di Cosroe in San Francesco d'Arezzo — si uniscono a comporre una delle più grandi
monumentali traduzioni in arte della Morte di Cristo.

I confronti, ai quali abbiamo fatto spontaneamente ricorso, con gli affreschi aretini, ci
portano a classificare la tavola Hamilton a un tempo di poco anteriore a quelli, per la potenza
d'astrazione, per la schematica definizione dei gruppi figurati, per la stasi assoluta della forma,
per i contrasti coloristici di chiaro e di bruno. È probabile quindi che il piccolo quadro fosse
dipinto poco prima dell'inizio dei grandi affreschi con la leggenda della Croce, cioè prima del 1,552,
al ritorno di Piero da Ferrara e da Rimini.

Adolfo Venturi.
 
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