EUGÈNE FROMENTIN E LE ORIGINI DE LA MODERNA CRITICA D'ARTE 77
artistes qui se possèdent... » — ne l'opera di Paolo egli erede d'aver scoperto il secreto de
la propria tecnica. — Paolo sempre nomina, cpiando parla de l'arte propria: anzi può dirsi
che, guardando a lui specialmente, il Delacroix formuli, sia pur saltuariamente, la difesa
del colore, tacciato di materialità da la scuola de l'Ingres, come ai tempi del Colbert.
Ma se soltanto il Delacroix maturo d'anni giunse a tal sorte di giudizi, spegnendo
in sè, consciamente, la fiamma per Michelangelo e per Raffaello, che la giovanil educa-
zione gli aveva acceso; per il Rubens, invece, non mutò. S'apra a caso il Journal, o
dove tratta de la verde età, quando l'autore studiava al Louvre; o dove ricorda il viaggio
nel Belgio del '50; o dove riflette gli estremi tempi, pieni ormai di clamorosa celebrità,
sempre quel culto permane altissimo, costante. Il pittore romantico amò nel Rubens
la foga, la forza, la veemenza, l'esuberanza coloristica — amò in lui i vizi.1 Più che in
manifestazioni verbali (le quali pur raggiungono impeti di lirismo: « Gioire à cet Homère
de la peinture, à ce pére de la chaleur et de l'enthousiasme »),* la passione per il Fiammingo
s'esplicò indirettamente in un ricorrer continuo a quella pittura, anzi — nessuno dei pro-
blemi artistici, che giorno per giorno s'affacciarono a la mente del Maestro, trovò solu-
zione, di fatto o ne l'intento, senza il consiglio del Rubens.
Anche il Rembrandt, del resto, affascina il francese, e, sebbene gli si rivolga assai
meno, appare chiaro com'egli si sforzi di penetrarne il misterioso genio (il Fiat è convinto
che sia riuscito « mieux qu'aucun peintre de son tcmps Nel '51 il Maestro esprime
un giudizio, che, risaputo, avrebbe indignato: diceva che, pur essendovi chi preferisca
l'enfasi maestosa di Raffaello, si doveva riconoscere che « le grand Hollanclais était
plus nativement peintre que le studieux elève du Pérugin ».+ Anche più tardi dichiarava
che nessuno dei maggiori sapesse suscitargli un'emozione spirituale pari a quella susci-
tata dal Rembrandt, con la potenza singolare di certi effetti.5
Queste preferenze, ed altre ancora (Velasquez, ad esempio), significherebbero, di
per sè, la concezione del Delacroix, anche se ad esse, qualche volta, egli giunga mediante
processi critici malsicuri. Può ritenersi, senza troppo semplificar giudizi, ch'egli amò
i maestri, i quali curaron, più che il contorno, più che la forma, il colore — i maestri,
i quali in pittura videro essenzialmente l'interesse pittorico.
« On ne veut en peinture que le dessin du sculpteur, et cette errcur, sur laquelle
avecu toute l'école de David, est encore tonte puissante »6 — in simile rimpianto, tutto
il Delacroix.
Preesisteva, immediatamente al romanticismo, la tradizione de la forma; e la linea,
come circoscrizione di piani, quindi di forme, era ritenuta tutto.
Il David aveva insegnato che ben dipinge chi ben disegna, c ben disegna chi ritrae
il modello con tratti definiti, rotondi, modificati ne le inevitabili imperfezioni, secondo
il ricordo di modelli perfetti.
L'Ingres, per sua parte, aveva anche ritenuto il disegno pietra angolare de l'edi-
ficio: buon disegno per lui significava disegno « senza scienza », disegno puro, ora leggero,
ora schiacciato, capace di dar rilievo, senza concorso di luce.
I due sistemi, sostanzialmente diversi, s'accordavano ne l'importanza che attri-
buivano al predominio lineare.
II Delacroix scrive sì, nel '24: « La première et la plus importante chose en pein-
ture ce sont les contours. Le reste serait-il extrémement negligé que, s'ils y sont, la
peinture est ferme et terminée... commencer toujours par là », qualche altra volta, sempre
negli anni giovanili, trapela, dal Journal, una certa preoccupazione dei contorni.
1 Journal, 1860, voi. Ili, pag. 414.
2 Journal, 1853, voi. II. pag. 251.
3 Pref. al Journal, pag. xlviii.
4 Journal, voi. II, pag. 174.
' Journal, 1857, voi. Ili, pag. 195.
6 Leitres (2a ed.), da una lettera al Thoré
(circa il 1840), pag. 256.
artistes qui se possèdent... » — ne l'opera di Paolo egli erede d'aver scoperto il secreto de
la propria tecnica. — Paolo sempre nomina, cpiando parla de l'arte propria: anzi può dirsi
che, guardando a lui specialmente, il Delacroix formuli, sia pur saltuariamente, la difesa
del colore, tacciato di materialità da la scuola de l'Ingres, come ai tempi del Colbert.
Ma se soltanto il Delacroix maturo d'anni giunse a tal sorte di giudizi, spegnendo
in sè, consciamente, la fiamma per Michelangelo e per Raffaello, che la giovanil educa-
zione gli aveva acceso; per il Rubens, invece, non mutò. S'apra a caso il Journal, o
dove tratta de la verde età, quando l'autore studiava al Louvre; o dove ricorda il viaggio
nel Belgio del '50; o dove riflette gli estremi tempi, pieni ormai di clamorosa celebrità,
sempre quel culto permane altissimo, costante. Il pittore romantico amò nel Rubens
la foga, la forza, la veemenza, l'esuberanza coloristica — amò in lui i vizi.1 Più che in
manifestazioni verbali (le quali pur raggiungono impeti di lirismo: « Gioire à cet Homère
de la peinture, à ce pére de la chaleur et de l'enthousiasme »),* la passione per il Fiammingo
s'esplicò indirettamente in un ricorrer continuo a quella pittura, anzi — nessuno dei pro-
blemi artistici, che giorno per giorno s'affacciarono a la mente del Maestro, trovò solu-
zione, di fatto o ne l'intento, senza il consiglio del Rubens.
Anche il Rembrandt, del resto, affascina il francese, e, sebbene gli si rivolga assai
meno, appare chiaro com'egli si sforzi di penetrarne il misterioso genio (il Fiat è convinto
che sia riuscito « mieux qu'aucun peintre de son tcmps Nel '51 il Maestro esprime
un giudizio, che, risaputo, avrebbe indignato: diceva che, pur essendovi chi preferisca
l'enfasi maestosa di Raffaello, si doveva riconoscere che « le grand Hollanclais était
plus nativement peintre que le studieux elève du Pérugin ».+ Anche più tardi dichiarava
che nessuno dei maggiori sapesse suscitargli un'emozione spirituale pari a quella susci-
tata dal Rembrandt, con la potenza singolare di certi effetti.5
Queste preferenze, ed altre ancora (Velasquez, ad esempio), significherebbero, di
per sè, la concezione del Delacroix, anche se ad esse, qualche volta, egli giunga mediante
processi critici malsicuri. Può ritenersi, senza troppo semplificar giudizi, ch'egli amò
i maestri, i quali curaron, più che il contorno, più che la forma, il colore — i maestri,
i quali in pittura videro essenzialmente l'interesse pittorico.
« On ne veut en peinture que le dessin du sculpteur, et cette errcur, sur laquelle
avecu toute l'école de David, est encore tonte puissante »6 — in simile rimpianto, tutto
il Delacroix.
Preesisteva, immediatamente al romanticismo, la tradizione de la forma; e la linea,
come circoscrizione di piani, quindi di forme, era ritenuta tutto.
Il David aveva insegnato che ben dipinge chi ben disegna, c ben disegna chi ritrae
il modello con tratti definiti, rotondi, modificati ne le inevitabili imperfezioni, secondo
il ricordo di modelli perfetti.
L'Ingres, per sua parte, aveva anche ritenuto il disegno pietra angolare de l'edi-
ficio: buon disegno per lui significava disegno « senza scienza », disegno puro, ora leggero,
ora schiacciato, capace di dar rilievo, senza concorso di luce.
I due sistemi, sostanzialmente diversi, s'accordavano ne l'importanza che attri-
buivano al predominio lineare.
II Delacroix scrive sì, nel '24: « La première et la plus importante chose en pein-
ture ce sont les contours. Le reste serait-il extrémement negligé que, s'ils y sont, la
peinture est ferme et terminée... commencer toujours par là », qualche altra volta, sempre
negli anni giovanili, trapela, dal Journal, una certa preoccupazione dei contorni.
1 Journal, 1860, voi. Ili, pag. 414.
2 Journal, 1853, voi. II. pag. 251.
3 Pref. al Journal, pag. xlviii.
4 Journal, voi. II, pag. 174.
' Journal, 1857, voi. Ili, pag. 195.
6 Leitres (2a ed.), da una lettera al Thoré
(circa il 1840), pag. 256.