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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 21.1918

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Fasc. 2
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Tea, Eva: De dignitate artis morientis, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17338#0154

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128

EVA TEA

zurro, che pur s'usava nelle sculture sull'Acropoli
e da Polignoto per gli sfondi della Losche. Ma non
ve n'era bisogno correntemente se, per semplice
effetto di contrasto, il nero appariva ora verdastro,
ora turchino. Dal rosso si sviluppavano il cremisi
e l'aranciato: il giallo riceveva splendore dal bianco
che ora prendeva dell'avorio e ora dell'argento.
L'effetto era di policromia vivace e ricca, quale
possiamo ammirare ancor oggi in taluni vasi ar-
caici.

Le statue muliebri col crine di viola, commen-
tandoci lo 'IcnrXojc iyva pzXk'.y/ju.zi&i Zantfoi 1 ci ma-
ravigliano per la precisione di senso, fredda ed
esaltata ad un tempo, che permetteva al greco di
scorgere i riflessi bluastri contro la luce nella chio-
ma nera, lucidata dal pettine.

Né voglio tacere il cenno di Pausania sid Dio
nfernale di Polignoto, nella Lesche degli Cnidi: 2
« il colore è un mezzo fra il turchino e il nero; il
colore delle mosche che s'attaccano Ila carne»:
dove il paragone osceno esprime lucidamente il
valoie del nero presso il pittore arcaico.

Fra il coloritore greco e l'egizio o il persiano
corre differenza come fra l'orecchiante che improv-
visa affastellando note e il musico che dai suoni
enarmonici racchiusi nella nota trae il suggeri-
mento di nuovi accordi. Un principio severo di
ricerca subentra all'arbitrio e al capriccio: la legge
non è imposta di fuori (come nel sedicente verismo)
ma è intima al colore e regge la rappresentazione.

Plinio sbaglia senza dubbio quando per i suoi
fini critici prolunga oltre Nicomaco il periodo dei
quattro colori,3 contro la notizia precisa di Ci-
cerone * e li verosimiglianza. Recenti scoperte
confermano il passo di Empedocle (contemporaneo
di Teognoto), dove parla di -cAuy.poa »àpy.a».a.5

Ma è probabile che volontariamente la pittura
greca limitasse i suoi colori, paga di possederne
ogni risonanza, per un'attitudine ottica corrispon-
dente all'orecchio musicale.

Si cercavano nuove varietà dei colori usati: e
Chidia traeva il cinabro dal giallo adusto, e Poli-
gnoto e Micone il nero dalla vinaccia.

E se nelle miniere argentifere dell'Attica-s'in-
veniva per avventura nuova vena d'ocra, « nihi-
lominus uti argentum persequebantur ».6

11 bambino non abbisogna di svariata tavolozza

1 Alceo, Frag. Bergli., Teubner-I.ipsùc, KRUTIKA, 55
(41-42). Cfr. Pindaro, Pit. \, ?..

2 Pausania, X, 28, 7.

3 Plin., .V. H., XXXV, 32.

4 Cip,, Brut. XVIII, 70.

5 Cfr.Blùmner, Thecnologie u. terminologie der Gewerbe u.
Kiinste bei Griechen u. Romeni. Teubner, 1912, IV, p. 466.

■6.V1TR., VII, 2.

per esprimere la sua passione cromatica: gli basta
stendere la tinta prediletta sulle parti salienti delle
figure.

Ugualmente le statue arcaiche ostentano ca-
pelli ed occhi vermigli, quasi commento al passo
di Platone nella Politica.1

« Come se qualcuno, trovandoci occupati a di-
pingere delle statue (àvSpiavras), volesse criticarci
perchè non mettiamo i più bei colori nelle parti più
belle della pittura; per esempio, non porpora ma
nero negli occhi, che sono la parte più bella del viso».
Tale in realtà è la logica del coloritore primitivo.

Perchè le teste arcaiche sull'Acropoli hanno la
barba turchina e le pupille verdi? Accordiamo che,
in lontananza, il turchino possa tirare al bruno e
il verde al grigiastro: ma perchè non usare a dirit-
tura il bruno e il grigio?

Si sarebbero spenti nell'atmosfera.

Sta bene, ma c'era dunque: una precisa volontà
di colore da difendere contro l'aftievolimento della
visione a distanza; una conoscenza degli effetti
propri e delle qualità intrinseche ed estrinseche
del colore; una facoltà di scelta che aveva per solo
limite le leggi coloristiche. Colore puro o astratto,
direbbero i moderni.

Questa attitudine retinica e psichica permane
in tutto lo sviluppo della pittura greca? In altre
parole, è una qualità di razza e di scuola, un fatto
iniziale e transitorio ?

Qui è il punto.

C'è un momento della pittura greca che sfugge
alla nostra indagine sperimentale, ma di cui le
fonti letterarie ci parlano come di un miracolo: la
comparsa del colore locale.2

Se si ammette che la pittura greca riposa sopra
un gusto astratto del colore, dovremo aspettarci
di vederla procedere per studi d'intervalli c scale
cromatiche, di rapporti e accordi anche nell'uso
dei colori locali: anzi, se le cose fin qui dette son
vere, dovrebbe la loro elezione dipendere, in parte
almeno, da leggi cromatiche.

Per procedere sperimentalmente a tale ricerca
bisogna saltare tre secoli deserti di cimeli pittorici
e rifarci alle ultime tradizioni ellenistiche della pro-
vincia italica, a Napoli e a Roma.

L'archeologia ha distinto nei freschi campani e
romani la corrente residua dell'Eliade da quella
indigena, che pure le si conforma.

Per la mia tesi mi attengo a queste distinzioni
generalmente accettate, salvo a confermarle poi e
a chiarirle con questo medesimo criterio artistico
del colore, che qui si discute.

1 Plat., Polit., Ed. Didot, IV, § 420 C.

2 Cfr. Polem. in Ath., XI, 474, D., e Plin., N. H., XXXV,
34-35-
 
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