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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 21.1918

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Fasc. 4
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Venturi, Adolfo: Raffaello e Michelangelo nel M.D. XIII
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282

ADOLFO VENTURI

La scena miracolosa è chiusa dall'ombra del coro; di qua dall'altare il prete, so-
speso, incerto, davanti al prodigio; di fronte a lui, immoto, il Pontefice. Coi gomiti
appoggiati sul cuscino di velluto coperto di seta d'oro, le mani giunte rigide, la testa
eretta, nella pompa delle vesti pontificali, Giulio fissa'il prete incredulo: la posa monu-
mentale, l'occhio imperioso gli danno un'imponenza magnifica di fronte al sacerdote
curvo, esitante. Il suo sguardo acuto, ferino, traversa lo spazio seguendo una visuale
diretta, precisa; e senza una deviazione si disegnano la linea obliqua della persona
inginocchiata, la linea obliqua delle braccia congiunte a preghiera. Mentre Raffaello
con pochi tratti decisi individua il papa guerriero, eleva, per mezzo della posa a grandi
sicure linee, il tipo còlto dalla realtà a simbolo della autorità papale: dalla riproduzione
fedele, obiettiva, giunge all'astrazione. La testa s'accende al riverbero di tutti i caldi
rossori di velluto che l'attorniano; il magnifico rosso amaranto della mantellina s'intona
alla calda vellutata ombra del coro, staccandosene solo per grado.

Come la Messa di Bolsena, anzi con maggiore rapidità di effetto, prodotta dai colpi
improvvisi di luce gettati nell'ombra notturna, la Liberazione di San Pietro ci serba la
soprendente rivelazione di un Raffaello colorista, che basa'la propria architettura compo-
sitiva sull'equilibrio di masse d'ombra e di luce, non meno che di figure e di gruppi,
e crea un fantastico incontro di riflessi infocati e freddi che scaturiscono da diverse
sorgenti, e s'incrociano nelle loro direzioni. Ombre notturne, rotte da luci improvvise,
avvolgono le scene: il centro della composizione coincide con il centro di luce: la im-
mensa aureola bianca e oro dell'angiolo, che appare nel fondo della prigione, come l'occhio
raggiante del sole attraverso l'imboccatura d'un antro. E si compone così con foga,
misteriosa nell'arte di Raffaello, la bilancia delle masse e delle luci, in cui il corpo cen-
trale della prigione ha valore di fulcro.

Ultimo degli affreschi nella sala d'Eliodoro, l'Incontro di Leone con Attila, nel
quale Giulio II doveva avere la sua apoteosi sotto i tratti dell'antico pontefice, e
vedere esaltata l'attuazione del suo grande sogno: la vittoria sul barbaro, sgominato
per la spada degli Apostoli Pietro e Paolo, per la croce che egli, loro successore, im-
pugna come una lancia.

Nel disegno di Oxford, il gruppo degl'invasori, composto a larga piramide con un
fascio di alabarde per vertice, si arresta, di colpo, davanti al gruppo monunentale
del pontefice che, seguito da un corteo di prelati e di popolo, cala verso gli Unni la
croce: chiusa opposta di repente al dilagai delle acque. Assunto al trono Leon X, scom
parve dall'affresco l'immagine ferrea del papa guerriero, e parve che, col mutarsi di
essa in quella pacifica e obesa del nuovo pontefice, cadesse la ispirazione del pittore,
che con mano stanca colorò l'ultimo affresco della stanza d'Eliodoro.

Con essa, la gloria dell'Urbinate giunse alla sua massima-altezza. Nell'anno 1513,
anno della morte di Giulio II, protettore di Raffaello, questi dette il più solenne esempio
dell'arte sua, proprio mentre Michelangelo stava per scoprire la volta compiuta della
Sistina a tutta Roma. L'elegante cavaliere, il perfetto cortigiano si trovò di fronte il
gigante. Passava tra un corteo di letterati, di cardinali, di seguaci il primo; viveva in-
quieto, chiuso in sè, solitario il secondo. Mentre Raffaello dipingeva la stanza del-
l'Eliodoro, le sorti delle armi non andavano a favore di Giulio II, tanto che v'era
minaccia che gli affreschi nou avessero rispondenza coi fatti, come ebbero dipoi.
Sarebbero stati sempre grandi e belli lo stesso; il canto di gloria che intonavano non
poteva non essere rianimato dalla speranza ne' secoli, da quando si levò il grido contro
i barbari invasori d'Italia ad oggi che s'innalza da tutte le terre nostre l'inno della re-
denzione.

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Nella volta della Sistina, l'arte di Michelangelo, cui fu sempre ignoto il sorriso (che
non lumeggia neppure le creazioni della sua prima giovinezza) respira l'atmosfera di fuoco
jnella quale s'affannano creature eroiche oppresse dal fato che incombe sulla terra.
 
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