PITTORI PISANI DEL XIV SECOLO
Il primo pittore che comprese il sostanziale mu-
tamento subito dallo spirito religioso per la pre-
dicazione del Poverello d'Assisi e lo espresse in
forma pittorica fu Giunta Pisano.
Di questo primo grandissimo maestro si cono-
scono con sicurezza due sole opere: il Crocefisso
della sagrestia di Santa Maria degli Angeli in
Assisi e l'altro della chiesa di San Pierino a Pisa:
ma queste due sue (avole sono sufficienti per farci
comprendere a (piale forza ed a quale intensità
di emozione fosse pervenuto il pisano prima an-
cora che Cimabue, Retro Cavallini e Giotto indi-
cassero la via dell'arte nuova.
E senza parlare delle conquiste di Giunta specie
nel campo delie prospettiva, conquiste che, ad
esempio, nella caratteristica collocazione del nimbo
crociato dietro il capo dei suoi crocifissi denotano
l'osservazione del vero ed il desiderio di avvici-
narvisi, è sufficiente rammentare l'espressione del
Cristo d'Assisi per avvedersi come nelle luci che
balsano sui rilievi neretti e sintetici dei piani fac-
ciali poderosamente costruiti, nella linea arcuata
degli ocelli, nella piega amara della labbra il pisano
abbia raggiunto nel a prima metà del duecento
tali risultati da poterlo considerare quale un vero
rivoluzionario dell'arte, il più grande pittore dei
suoi tempi.
Morto Giunta, probabilmente verso il 1260, i pit-
tori pisani non ebbero più la sua forza tragica, la
espressività della sua linea. Solo quel grandissimo
Maestro che nel Museo Civico di Pisa ha due
tavole, una con la Vergine in trono e dodici sto-
rielle della vita di Sant'Anna e San Gioacchino e
l'altra con Sant'Anna e la Vergine bambina in
gr tnbo, è degno d'esser considerato accanto ai
maggiori esponenti della pittura toscana degli
ultimi anni del xm secolo e dei primi del xiv,
poiché gli altri pittori della antica città ghibellina
sono per tutto il '200 ed il '300 molto al disotto
dei grandi maestri contemporanei di Siena e
Firenze.
E v'è in questo anche una ragione storica. Pisa
verso la metà del'200 aveva visto lo splendore della
sua potenza mano a mano affievolirsi. Le agitazioni
interne, le rivalità con la vecchia Lucca e la na-
scente forza di Firenze, quelle sempre maggiori con
Genova l'avevano strema1a. Ma il tracollo venne
quando nell'agosto del 1284 l'armata pisana fu
irreparabilmente sconfitta dalle navi genovesi alla
Meloria. Da allora Pisa cominciò a perdere i suoi
maggiori possedimenti marittimi; da. tempo aveva
già ceduto castelli a Lucca e Firenze. Un bar-
lume di speranza era risorto con la venuta di Ar-
rigo VII. Ma, spento « l'aitò Arrigo » Pisa fuco-
stretta a rinserrare il suo sogno di grandezza e di
dominio entro l'avello che in Duomo racchiuse
le spoglie del morto imperatore.
Crebbero allora le sue disavventure.
Vinta da ('.enova, umiliata da Firenze le furono
sinanco strappate le catene del porto dalle rivali;
s'era allora nel 1347.
Lotte di Guelfi e Ghibellini, dissensi interni, fa-
vorirono l'avvento di tirannelli che si susseguirono
senza tregua, sfruttandola con imposte e tribolan-
dola con lotte intestine per tutta la seconda metà
del xiv secol \ Quando un signore buono potè reg-
gere la città, Pietro Gambacorti, questi fu ucciso
nel [392 da un ambizioso: Iacopino d'Appiano. Il
figlio di costui, Gherardo, nel '399 vendette la
signoria a Gian Galeazzo Visconti, il quale la ce-
dette ai Fiorentini. Ma se gli acerrimi rivali vol-
lero Pisa la dovettero prendere con la violenza.
Insieme alla pace e alla libertà ancora la forza
dell'arte sembrò sparire. Dopo Nicola da Puglia,
che fiorì contemporaneamente a Giunta, il figlio
Giovanni tenne il campo della scultura. Ma se in
Siena egli trovò seguaci che per tutto il trecento ne
continuarono l'arte precorrendo e annunciando Ja-
copo della Quercia, gli scultori pisani ripetendo le
sue forme le storpieranno intisichendole, togliendo
il grande afflato di romana grandezza, pervaso
d'impeto gotico, che rende divina la vergine im-
periale scolpita da Giovanni per la porta minore
del Duomo.
L'orientamento e le strade seguite dalla pittura
sono ben diverse. L'arte pittorica nel trecento a
Pisa non fu che una derivazione della senese e della
fiorentina a cui piccoli mestieranti, stampatori di
immagini paesane, portarono il contributo della
loro bonaria semplicità. Le grandiose concezioni
dei senesi colpiscono in un primo tempo gli artisti
pisani e questi traducono con la loro tecnica — che
serba nel colorito ancora il ricordo del fare caro ai
bizantini - forme lorenzettiane.
L'Arte.
XXVI, 5.
Il primo pittore che comprese il sostanziale mu-
tamento subito dallo spirito religioso per la pre-
dicazione del Poverello d'Assisi e lo espresse in
forma pittorica fu Giunta Pisano.
Di questo primo grandissimo maestro si cono-
scono con sicurezza due sole opere: il Crocefisso
della sagrestia di Santa Maria degli Angeli in
Assisi e l'altro della chiesa di San Pierino a Pisa:
ma queste due sue (avole sono sufficienti per farci
comprendere a (piale forza ed a quale intensità
di emozione fosse pervenuto il pisano prima an-
cora che Cimabue, Retro Cavallini e Giotto indi-
cassero la via dell'arte nuova.
E senza parlare delle conquiste di Giunta specie
nel campo delie prospettiva, conquiste che, ad
esempio, nella caratteristica collocazione del nimbo
crociato dietro il capo dei suoi crocifissi denotano
l'osservazione del vero ed il desiderio di avvici-
narvisi, è sufficiente rammentare l'espressione del
Cristo d'Assisi per avvedersi come nelle luci che
balsano sui rilievi neretti e sintetici dei piani fac-
ciali poderosamente costruiti, nella linea arcuata
degli ocelli, nella piega amara della labbra il pisano
abbia raggiunto nel a prima metà del duecento
tali risultati da poterlo considerare quale un vero
rivoluzionario dell'arte, il più grande pittore dei
suoi tempi.
Morto Giunta, probabilmente verso il 1260, i pit-
tori pisani non ebbero più la sua forza tragica, la
espressività della sua linea. Solo quel grandissimo
Maestro che nel Museo Civico di Pisa ha due
tavole, una con la Vergine in trono e dodici sto-
rielle della vita di Sant'Anna e San Gioacchino e
l'altra con Sant'Anna e la Vergine bambina in
gr tnbo, è degno d'esser considerato accanto ai
maggiori esponenti della pittura toscana degli
ultimi anni del xm secolo e dei primi del xiv,
poiché gli altri pittori della antica città ghibellina
sono per tutto il '200 ed il '300 molto al disotto
dei grandi maestri contemporanei di Siena e
Firenze.
E v'è in questo anche una ragione storica. Pisa
verso la metà del'200 aveva visto lo splendore della
sua potenza mano a mano affievolirsi. Le agitazioni
interne, le rivalità con la vecchia Lucca e la na-
scente forza di Firenze, quelle sempre maggiori con
Genova l'avevano strema1a. Ma il tracollo venne
quando nell'agosto del 1284 l'armata pisana fu
irreparabilmente sconfitta dalle navi genovesi alla
Meloria. Da allora Pisa cominciò a perdere i suoi
maggiori possedimenti marittimi; da. tempo aveva
già ceduto castelli a Lucca e Firenze. Un bar-
lume di speranza era risorto con la venuta di Ar-
rigo VII. Ma, spento « l'aitò Arrigo » Pisa fuco-
stretta a rinserrare il suo sogno di grandezza e di
dominio entro l'avello che in Duomo racchiuse
le spoglie del morto imperatore.
Crebbero allora le sue disavventure.
Vinta da ('.enova, umiliata da Firenze le furono
sinanco strappate le catene del porto dalle rivali;
s'era allora nel 1347.
Lotte di Guelfi e Ghibellini, dissensi interni, fa-
vorirono l'avvento di tirannelli che si susseguirono
senza tregua, sfruttandola con imposte e tribolan-
dola con lotte intestine per tutta la seconda metà
del xiv secol \ Quando un signore buono potè reg-
gere la città, Pietro Gambacorti, questi fu ucciso
nel [392 da un ambizioso: Iacopino d'Appiano. Il
figlio di costui, Gherardo, nel '399 vendette la
signoria a Gian Galeazzo Visconti, il quale la ce-
dette ai Fiorentini. Ma se gli acerrimi rivali vol-
lero Pisa la dovettero prendere con la violenza.
Insieme alla pace e alla libertà ancora la forza
dell'arte sembrò sparire. Dopo Nicola da Puglia,
che fiorì contemporaneamente a Giunta, il figlio
Giovanni tenne il campo della scultura. Ma se in
Siena egli trovò seguaci che per tutto il trecento ne
continuarono l'arte precorrendo e annunciando Ja-
copo della Quercia, gli scultori pisani ripetendo le
sue forme le storpieranno intisichendole, togliendo
il grande afflato di romana grandezza, pervaso
d'impeto gotico, che rende divina la vergine im-
periale scolpita da Giovanni per la porta minore
del Duomo.
L'orientamento e le strade seguite dalla pittura
sono ben diverse. L'arte pittorica nel trecento a
Pisa non fu che una derivazione della senese e della
fiorentina a cui piccoli mestieranti, stampatori di
immagini paesane, portarono il contributo della
loro bonaria semplicità. Le grandiose concezioni
dei senesi colpiscono in un primo tempo gli artisti
pisani e questi traducono con la loro tecnica — che
serba nel colorito ancora il ricordo del fare caro ai
bizantini - forme lorenzettiane.
L'Arte.
XXVI, 5.