LE ORIGINI DELLA CRITICA DARTE A VENEZIA
Ormai va per favola in bocca d'ognuno come una tradizione critica sempre sveglia
e spesso singolarmente acuta accompagni il corso dell'Arte fiorentina del Tre e Quattro-
cento. Con la consueta sapienza, già non è molto, in queste pagine deWArte, oltre che
nel libro su Leonardo da Vinci,1 Lionello Venturi ne colse i vertici pili palesi nel pen-
siero del Petrarca, del Boccaccio, di Giovanni Villani e del Ghiberti, nonché nei sagaci
'( schiari » del Landino, del Filarete, del Manetti e dell'anonimo informatore del Duca di
Milano. E si vuol tacer qui, per non produrre il discorso, di Leon Battista Alberti,2 più
che giudice, partecipe e creatore in parte di quell'ideale estetico, precorrendone in ispi-
riti) le più inoltrate determinazioni, e di Leonardo, per cui tal ideale (concreto in atto
nel titanismo di Michelangiolo, che ne sarà estremo impugnatore, fin oltre l'accademia,
a riattizzare con l'ultima favilla il platonismo sensualissimo del Bernini,3) si fa scienza,
attirato come un « pezzo di natura » sotto il fuoco chiaro di quell'occhio, che dalla « cu-
riosità estetica », propria della civiltà toscana e determinatrice delle necessità psicologiche
dell'arte sua, traeva crudeltà a notomizzare ogni forma e ricavarne l'« idea », come dal
mallo e dal nicchio un gheriglio, acuendo, fino a distruggere ogni sensibilità artistica
creativa, quel « giudizio »: quella virtù perscrutatrice che sarà ricchezza di Galileo Galilei
e degli Accademici del Cimento.
Non così, finora, malgrado i molti lumi che il Venturi medesimo, il Berenson, il Lon-
ghi ci han fornito a schiarar criticamente la nuova pittura veneziana di « tono », cui lo
stesso Leonardo, ansioso di rompere ogni linearismo entro l'aerea prospettiva del colore
e della luce, preannunzia, pur di tra i legami della tradizione fiorentina, si sono determi-
nate la gènesi e le modulazioni della coscienza critica relativa a quest'arte.
E mentre si va tanto acutamente studiando come, nella metà del Cinquecento, per
tutta Italia si attizzi lo spirito di ricerca cronistica e documentaria di fatti d'opere di biografie
di trattati di guide, con uno speciale interesse per le arti figurative; e come, rompendo le
fruste K dande » dell'estetica neo-platonica e aristotelica, un nuovo pensiero critico
riesamini le teorie pedagogiche o edonistiche, e, se men può, dubiti delle asserzioni co-
munemente orecchiate, per merito dei Fracastoro, e dei Castelvetro, dei Robortelli e dei
Patrizio; mentre si va ormai generalmente conoscendo che l'intellettualismo buongustaio
toscano, ed esso solo, benché smorzato nella penombra manieristica dell'Accademia e
dissueto dal sapor fresco della grande arte presente e passata, crea il suo capolavoro cri-
tico con le Vite del Vasari, modello all'universale Eclettismo; quando si volgan gli occhi
a Venezia, si trova il vuoto, cioè si ha l'impressione, caricata dall'eredità di preconcetti
neo-classici e spiritualistici, che l'arte veneziana, nella sua vergine realtà che spiccia come
un bel fiume chiaro attraverso la torbida pedanteria del pieno Cinquecento, sia l'espres-
sione d'una società incolta e materialistica, cui ben s'attaglia un sommario verdetto di
1 L. Venturi, La critica d'arie in Italia. {L'Arte,
1917, p. 305 sgg.); Id. La critica d'arte e Fran-
cesco Petrarca. (L'Arte, 1922, p. 238 sgg.); Id. La
critica e l'arte di Leonardo da Vinci, Bologna, [920.
2 Vedi L. Venturi, cit.: L'Arte, 1917, p. 305
sgg.; G. Vesco, L. B. Alberti, ecc. {L'Arte, 1919),
ottimo saggio conclusivo.
3 Vedi A. Bertini Calosso, // classicismo di
(1. !.. Bernini e l'arte francese. (/ 'Arte, 1921, p. 241
sgg-)-
L'Arti. xxvi, 1.
Ormai va per favola in bocca d'ognuno come una tradizione critica sempre sveglia
e spesso singolarmente acuta accompagni il corso dell'Arte fiorentina del Tre e Quattro-
cento. Con la consueta sapienza, già non è molto, in queste pagine deWArte, oltre che
nel libro su Leonardo da Vinci,1 Lionello Venturi ne colse i vertici pili palesi nel pen-
siero del Petrarca, del Boccaccio, di Giovanni Villani e del Ghiberti, nonché nei sagaci
'( schiari » del Landino, del Filarete, del Manetti e dell'anonimo informatore del Duca di
Milano. E si vuol tacer qui, per non produrre il discorso, di Leon Battista Alberti,2 più
che giudice, partecipe e creatore in parte di quell'ideale estetico, precorrendone in ispi-
riti) le più inoltrate determinazioni, e di Leonardo, per cui tal ideale (concreto in atto
nel titanismo di Michelangiolo, che ne sarà estremo impugnatore, fin oltre l'accademia,
a riattizzare con l'ultima favilla il platonismo sensualissimo del Bernini,3) si fa scienza,
attirato come un « pezzo di natura » sotto il fuoco chiaro di quell'occhio, che dalla « cu-
riosità estetica », propria della civiltà toscana e determinatrice delle necessità psicologiche
dell'arte sua, traeva crudeltà a notomizzare ogni forma e ricavarne l'« idea », come dal
mallo e dal nicchio un gheriglio, acuendo, fino a distruggere ogni sensibilità artistica
creativa, quel « giudizio »: quella virtù perscrutatrice che sarà ricchezza di Galileo Galilei
e degli Accademici del Cimento.
Non così, finora, malgrado i molti lumi che il Venturi medesimo, il Berenson, il Lon-
ghi ci han fornito a schiarar criticamente la nuova pittura veneziana di « tono », cui lo
stesso Leonardo, ansioso di rompere ogni linearismo entro l'aerea prospettiva del colore
e della luce, preannunzia, pur di tra i legami della tradizione fiorentina, si sono determi-
nate la gènesi e le modulazioni della coscienza critica relativa a quest'arte.
E mentre si va tanto acutamente studiando come, nella metà del Cinquecento, per
tutta Italia si attizzi lo spirito di ricerca cronistica e documentaria di fatti d'opere di biografie
di trattati di guide, con uno speciale interesse per le arti figurative; e come, rompendo le
fruste K dande » dell'estetica neo-platonica e aristotelica, un nuovo pensiero critico
riesamini le teorie pedagogiche o edonistiche, e, se men può, dubiti delle asserzioni co-
munemente orecchiate, per merito dei Fracastoro, e dei Castelvetro, dei Robortelli e dei
Patrizio; mentre si va ormai generalmente conoscendo che l'intellettualismo buongustaio
toscano, ed esso solo, benché smorzato nella penombra manieristica dell'Accademia e
dissueto dal sapor fresco della grande arte presente e passata, crea il suo capolavoro cri-
tico con le Vite del Vasari, modello all'universale Eclettismo; quando si volgan gli occhi
a Venezia, si trova il vuoto, cioè si ha l'impressione, caricata dall'eredità di preconcetti
neo-classici e spiritualistici, che l'arte veneziana, nella sua vergine realtà che spiccia come
un bel fiume chiaro attraverso la torbida pedanteria del pieno Cinquecento, sia l'espres-
sione d'una società incolta e materialistica, cui ben s'attaglia un sommario verdetto di
1 L. Venturi, La critica d'arie in Italia. {L'Arte,
1917, p. 305 sgg.); Id. La critica d'arte e Fran-
cesco Petrarca. (L'Arte, 1922, p. 238 sgg.); Id. La
critica e l'arte di Leonardo da Vinci, Bologna, [920.
2 Vedi L. Venturi, cit.: L'Arte, 1917, p. 305
sgg.; G. Vesco, L. B. Alberti, ecc. {L'Arte, 1919),
ottimo saggio conclusivo.
3 Vedi A. Bertini Calosso, // classicismo di
(1. !.. Bernini e l'arte francese. (/ 'Arte, 1921, p. 241
sgg-)-
L'Arti. xxvi, 1.