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VITTORIO MOSCHINI
nube, grigi lavagna e bianchi più staccati nella veste e nella cravatta dipinta a
piene veloci pennellate. Tra tante delicatezze di grigi e di sfumati splende d'un
rossore soffuso quasi sotto la cute il volto carnoso dell'artista, dipinto con fare di spi-
ritoso pastellista. Nel rosa e nel grigio s'imposta così questo ritratto mirabilmente mo-
derno, e quest'accordo di colori notiamo vivace nel contrasto tra la grigia limpidità
della pupilla e l'angolo sanguigno splendente dell'occhio. In un impeto di franchezza
e di sincerità pittorica, perchè spirituale, il Luti espresse nel volto dipinto con tanta
modernità d'impasti, negli occhi che profondi guardano, la sua vivace anima toscana,
dandoci un'opera mirabile anche per penetrazione psicologica.
Certo la differenza di maniera e, quel che più conta, di valore tra questo ritratto
e le altre opere dell'artista è veramente notevolissima. Non potrebbe tuttavia pen-
sarsi che esso sia stato eseguito posteriormente da un altro e ben più valente pittore,
a completare, lui mancante, la serie dei ritratti dei principi dell'Accademia. A Firenze,
nella collezione granducale degli autoritratti degli artisti, ve n'è uno appunto del
Luti del quale egli stesso parla in una sua lettera.1 Ora, questo non è che una fredda
e assai debole copia del ritratto di S. Luca.2 Data la freddezza, la pesantezza, la man-
canza d'ogni espressione psicologica del ritratto fiorentino, che fanno sì che non possa
averlo dipinto il Luti, mai così goffo, non potrà neppure sostenersi che esso sia l'ori-
ginale e che quello romano sia una copia eseguita da un genialissimo artista posteriore.
Occorre poi tener conto del fatto che il ritratto fiorentino vorrebbe riprodurre (ma
quanto goffamente!) la libertà pittorica, il senso degli impasti di quello romano, in par-
ticolar modo nel viso; ma quelle pennellate, in questo così fresche e sostanziose, diven-
gono quanto mai vuote, banali ed anche scorrette in quello. La grigia ariosa parrucca,
così genialmente e sinteticamente resa nel ritratto romano, non fu compresa dal goffo
copista che, privo d'ogni intuizione pittorica, s'indugiò a ritrarre nei suoi riccioli il
parruccone dell'artista. Gli occhi suoi di arguti e chiari divengono smorti e imbambo-
lati, la bocca arguta schernitrice (pare che beffeggi il futuro critico messo in imbarazzo)
non ha più nulla da esprimere, e così tutto il resto. Basta del resto guardare questi
due ritratti per convincersi della impossibilità che il Luti abbia dipinto il ritratto fio-
rentino; l'avrà fatto eseguire da un suo scolaro, copiando l'altro originale.
Se però l'attribuzione al nostro pittore di questo ritratto dell'Accademia di S. Luca
non mi pare che sia da porre in dubbio, rimane vivace il problema: come mai un così
improvviso distacco dalle altre opere e dagli altri ritratti, distacco di valore, distacco
di maniera? Perchè se anche abbiamo visto alcuni quadri dipinti dal nostro con bra-
vura, nessuno potrà mettersi alla pari con questo. Anche se pensiamo agli altri ritratti
eseguiti dal Luti non vedremo mai nulla di così intenso. Certo, in quel Ritratto di
dama (fig. 17) della galleria Spada v'è qualcosa nella delicata e aristocratica armonia
dei colori che ricorda l'autoritratto della galleria di S. Luca: grigi ariosi perlacei,
questa volta accordati con bruni neri colori (grigio lo sfondo, bruni gli occhi vivaci
della dama, neri la sua veste e il velo). Tuttavia il ritratto Spada è dipinto con
tutt'altro senso, tutto è lisciato e polito, la pennellata è quasi timida d'apparire,
e ben altra è l'intensità espressiva, ben altro il valore.3
1 Lettera al Gabbiani del 24 dicembre 1717
(v. Bottari, op. cit., voi. II, p. 84): «Con mio ros-
sore sento che fosse VS ili. in galleria di S. A. R.
dove vedesse il mio ritratto. So bene non esser
degno di tanto onore d'esser collocato in luogo
d'alto merito; e per quanto abbia fatto per sot-
trarmi, conoscendo bene il mio dovere, non è stato
possibile liberarmene con il cavaliere inglese, che
in ogni conto mi è convenuto compiacerlo ».
2 Questo fu in seguito tagliato, certo per adat-
tarlo alle dimensioni degli altri ritratti dei principi
dell'Accademia, e coperto nella parte inferiore da
una fascia con una grossa scritta, dipintavi sopra
ai primi dell'ottocento.
3 Si tenga tuttavia conto del fatto che la foto-
grafia tjui riprodotta non è molto riuscita.
VITTORIO MOSCHINI
nube, grigi lavagna e bianchi più staccati nella veste e nella cravatta dipinta a
piene veloci pennellate. Tra tante delicatezze di grigi e di sfumati splende d'un
rossore soffuso quasi sotto la cute il volto carnoso dell'artista, dipinto con fare di spi-
ritoso pastellista. Nel rosa e nel grigio s'imposta così questo ritratto mirabilmente mo-
derno, e quest'accordo di colori notiamo vivace nel contrasto tra la grigia limpidità
della pupilla e l'angolo sanguigno splendente dell'occhio. In un impeto di franchezza
e di sincerità pittorica, perchè spirituale, il Luti espresse nel volto dipinto con tanta
modernità d'impasti, negli occhi che profondi guardano, la sua vivace anima toscana,
dandoci un'opera mirabile anche per penetrazione psicologica.
Certo la differenza di maniera e, quel che più conta, di valore tra questo ritratto
e le altre opere dell'artista è veramente notevolissima. Non potrebbe tuttavia pen-
sarsi che esso sia stato eseguito posteriormente da un altro e ben più valente pittore,
a completare, lui mancante, la serie dei ritratti dei principi dell'Accademia. A Firenze,
nella collezione granducale degli autoritratti degli artisti, ve n'è uno appunto del
Luti del quale egli stesso parla in una sua lettera.1 Ora, questo non è che una fredda
e assai debole copia del ritratto di S. Luca.2 Data la freddezza, la pesantezza, la man-
canza d'ogni espressione psicologica del ritratto fiorentino, che fanno sì che non possa
averlo dipinto il Luti, mai così goffo, non potrà neppure sostenersi che esso sia l'ori-
ginale e che quello romano sia una copia eseguita da un genialissimo artista posteriore.
Occorre poi tener conto del fatto che il ritratto fiorentino vorrebbe riprodurre (ma
quanto goffamente!) la libertà pittorica, il senso degli impasti di quello romano, in par-
ticolar modo nel viso; ma quelle pennellate, in questo così fresche e sostanziose, diven-
gono quanto mai vuote, banali ed anche scorrette in quello. La grigia ariosa parrucca,
così genialmente e sinteticamente resa nel ritratto romano, non fu compresa dal goffo
copista che, privo d'ogni intuizione pittorica, s'indugiò a ritrarre nei suoi riccioli il
parruccone dell'artista. Gli occhi suoi di arguti e chiari divengono smorti e imbambo-
lati, la bocca arguta schernitrice (pare che beffeggi il futuro critico messo in imbarazzo)
non ha più nulla da esprimere, e così tutto il resto. Basta del resto guardare questi
due ritratti per convincersi della impossibilità che il Luti abbia dipinto il ritratto fio-
rentino; l'avrà fatto eseguire da un suo scolaro, copiando l'altro originale.
Se però l'attribuzione al nostro pittore di questo ritratto dell'Accademia di S. Luca
non mi pare che sia da porre in dubbio, rimane vivace il problema: come mai un così
improvviso distacco dalle altre opere e dagli altri ritratti, distacco di valore, distacco
di maniera? Perchè se anche abbiamo visto alcuni quadri dipinti dal nostro con bra-
vura, nessuno potrà mettersi alla pari con questo. Anche se pensiamo agli altri ritratti
eseguiti dal Luti non vedremo mai nulla di così intenso. Certo, in quel Ritratto di
dama (fig. 17) della galleria Spada v'è qualcosa nella delicata e aristocratica armonia
dei colori che ricorda l'autoritratto della galleria di S. Luca: grigi ariosi perlacei,
questa volta accordati con bruni neri colori (grigio lo sfondo, bruni gli occhi vivaci
della dama, neri la sua veste e il velo). Tuttavia il ritratto Spada è dipinto con
tutt'altro senso, tutto è lisciato e polito, la pennellata è quasi timida d'apparire,
e ben altra è l'intensità espressiva, ben altro il valore.3
1 Lettera al Gabbiani del 24 dicembre 1717
(v. Bottari, op. cit., voi. II, p. 84): «Con mio ros-
sore sento che fosse VS ili. in galleria di S. A. R.
dove vedesse il mio ritratto. So bene non esser
degno di tanto onore d'esser collocato in luogo
d'alto merito; e per quanto abbia fatto per sot-
trarmi, conoscendo bene il mio dovere, non è stato
possibile liberarmene con il cavaliere inglese, che
in ogni conto mi è convenuto compiacerlo ».
2 Questo fu in seguito tagliato, certo per adat-
tarlo alle dimensioni degli altri ritratti dei principi
dell'Accademia, e coperto nella parte inferiore da
una fascia con una grossa scritta, dipintavi sopra
ai primi dell'ottocento.
3 Si tenga tuttavia conto del fatto che la foto-
grafia tjui riprodotta non è molto riuscita.