COLTURA ED ARTE
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Ma c'è altro. « Umanizzare » l'arte non sarà più parola vuota per noi, se non ci ba-
sterà la fissità estatica del « critico puro », per cui isolare un motivo lirico e crogiolarvisi
sensualmente e quasi crudelmente, appare tutto il compito della Storia dell'Arte. Nè
ci parrà aver fornito quel compito stabilendo una serie di « momenti sentimentali »,
a quei « motivi » corrispondenti. Ripensando come essi si liberino e si concretino nell'arte,
rivivremo la lotta, sia pure agevole e felice, di uno spirito transitorio a conquistarsi una
forma d'eterno; lo sforzo per superare quanto è precario negli uomini, con cui l'artista
consentì necessariamente nella vita quotidiana: figure senza volto e senza nome; quel
grido verso la libertà assoluta dello spirito fuor dai legami culturali e sociali. Onesto
sfondo, questo grigio bisogna conoscere; sapere come l'artista si rappresentasse la « sua »
tradizione e non solo come noi ce lo rappresentiamo nella nostra; come egli « sentisse »
rispetto al suo tempo e non ad oggi soltanto.
Non vorremmo però ci s'imputasse d'aver proposto fra coltura ed arte un distacco
rigido che in realtà non esiste: tenuissimo è infatti il rapporto fra ciò ch'è, in altri ter-
mini, creazione spontanea e ciò che non mai compiutamente s'è detto: ambiente, spi-
rito dell'epoca, gusto, tradizione, educazione tecnica, residui logici e praticistici. Esso
varia d'espressione in espressione e lo storico deve di volta in volta modificare il pri-
mitivo rapporto posto fra l'una e l'altro, per ricavare da tutte le opere quel continuo
carattere ch'è limite della personalità presa in esame. Così lo spirito umano, nel suo
generale atteggiamento proprio a quell'epoca cui tale individuo appartiene, è la risul-
tante del continuo toccarsi e distaccarsi degli spiriti singoli che lo compongono, sì
che i termini fissi delle personalità ora gli appaiono nitidi, ora si fondono gli uni con
gli altri. Ciò gli dà la norma per l'opera sua.
La coltura d'un'epoca e d'un ambiente sembra infatti irraggiungibile al pensa-
tore. E tutto, nel suo significato assoluto, gli è irraggiungibile. Perciò la sua storia
sarà appunto « sua », chiusa nel cerchio del suo spirito. Ma, considerato che coltura di
un'epoca è coltura dei singoli individui spiritualmente attivi che vi convivono e che
Storia dell'Arte non gli verrà fatta se non come polo positivo della Storia della Coltura,
cioè senza che ogni « espressione d'arte », prima isolata e identificata come momento
del suo sentire, non gli venga altresì pensata come un documento culturale per i po-
steri e come un residuo di elaborazione culturale, per l'artefice suo, il proposito gli
appare complesso ma non insormontabile. Inoltre, per lumeggiare le « posizioni » e i
« valori » proposti, si varrà di tutte le varie espressioni e tradizioni a coté, che volta a volta
gli si convengano, cioè di tutti i « documenti » a lui noti, sempre che abbiano potuto
fornire elemento vivo all'aspetto spirituale che corrisponde alla realtà di quell'arte
in genere e che l'abbiano realmente fornito alla realtà di quegli artisti, in particolare.
Sappiamo tutti che il campo offerto dalla storia al pensatore è enorme e multiforme e
che la maggior prova ch'egli può addurre della bontà della sua opera è che egli pensò
e vide realmente così; ma la sua onestà sarà nel circostanziare più complessamente
ch'egli può i suoi giudizi, e nel proporsi un metodo sempre più retificato che isoli di
maglia in maglia i problemi.
Prima di concludere, un altro punto vuol essere chiarito. Ciò che s'è posto par non
risolva il concetto che si ha di molti artisti, i più grandi forse, di cui si dice che espri-
mono appunto nell'opera loro la « coltura d'un'epoca ». Abbiamo le figure del poeta
filosofo, dell'artista pensatore, dell'« ottimo universale ».
È evidente che qui la parola « coltura » ha un altro significato.
Non esiste, vedemmo, una realtà lirica, ma tutta la realtà è ogni volta investita da
un diverso atteggiamento: artistico, logico, pratico. Ora il mondo della « coltura », in
quanto dominato dal pensiero, può esser tutta o gran parte della realtà viva in noi, cioè
pura e semplice « conoscenza » nostra, ardente della nostra passione, animata da quel
ritmo che all'artista è proprio. Esso ci darà un'arte, figlia delle civiltà più affinate, dove
L'Arte. XXVI, 19.
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Ma c'è altro. « Umanizzare » l'arte non sarà più parola vuota per noi, se non ci ba-
sterà la fissità estatica del « critico puro », per cui isolare un motivo lirico e crogiolarvisi
sensualmente e quasi crudelmente, appare tutto il compito della Storia dell'Arte. Nè
ci parrà aver fornito quel compito stabilendo una serie di « momenti sentimentali »,
a quei « motivi » corrispondenti. Ripensando come essi si liberino e si concretino nell'arte,
rivivremo la lotta, sia pure agevole e felice, di uno spirito transitorio a conquistarsi una
forma d'eterno; lo sforzo per superare quanto è precario negli uomini, con cui l'artista
consentì necessariamente nella vita quotidiana: figure senza volto e senza nome; quel
grido verso la libertà assoluta dello spirito fuor dai legami culturali e sociali. Onesto
sfondo, questo grigio bisogna conoscere; sapere come l'artista si rappresentasse la « sua »
tradizione e non solo come noi ce lo rappresentiamo nella nostra; come egli « sentisse »
rispetto al suo tempo e non ad oggi soltanto.
Non vorremmo però ci s'imputasse d'aver proposto fra coltura ed arte un distacco
rigido che in realtà non esiste: tenuissimo è infatti il rapporto fra ciò ch'è, in altri ter-
mini, creazione spontanea e ciò che non mai compiutamente s'è detto: ambiente, spi-
rito dell'epoca, gusto, tradizione, educazione tecnica, residui logici e praticistici. Esso
varia d'espressione in espressione e lo storico deve di volta in volta modificare il pri-
mitivo rapporto posto fra l'una e l'altro, per ricavare da tutte le opere quel continuo
carattere ch'è limite della personalità presa in esame. Così lo spirito umano, nel suo
generale atteggiamento proprio a quell'epoca cui tale individuo appartiene, è la risul-
tante del continuo toccarsi e distaccarsi degli spiriti singoli che lo compongono, sì
che i termini fissi delle personalità ora gli appaiono nitidi, ora si fondono gli uni con
gli altri. Ciò gli dà la norma per l'opera sua.
La coltura d'un'epoca e d'un ambiente sembra infatti irraggiungibile al pensa-
tore. E tutto, nel suo significato assoluto, gli è irraggiungibile. Perciò la sua storia
sarà appunto « sua », chiusa nel cerchio del suo spirito. Ma, considerato che coltura di
un'epoca è coltura dei singoli individui spiritualmente attivi che vi convivono e che
Storia dell'Arte non gli verrà fatta se non come polo positivo della Storia della Coltura,
cioè senza che ogni « espressione d'arte », prima isolata e identificata come momento
del suo sentire, non gli venga altresì pensata come un documento culturale per i po-
steri e come un residuo di elaborazione culturale, per l'artefice suo, il proposito gli
appare complesso ma non insormontabile. Inoltre, per lumeggiare le « posizioni » e i
« valori » proposti, si varrà di tutte le varie espressioni e tradizioni a coté, che volta a volta
gli si convengano, cioè di tutti i « documenti » a lui noti, sempre che abbiano potuto
fornire elemento vivo all'aspetto spirituale che corrisponde alla realtà di quell'arte
in genere e che l'abbiano realmente fornito alla realtà di quegli artisti, in particolare.
Sappiamo tutti che il campo offerto dalla storia al pensatore è enorme e multiforme e
che la maggior prova ch'egli può addurre della bontà della sua opera è che egli pensò
e vide realmente così; ma la sua onestà sarà nel circostanziare più complessamente
ch'egli può i suoi giudizi, e nel proporsi un metodo sempre più retificato che isoli di
maglia in maglia i problemi.
Prima di concludere, un altro punto vuol essere chiarito. Ciò che s'è posto par non
risolva il concetto che si ha di molti artisti, i più grandi forse, di cui si dice che espri-
mono appunto nell'opera loro la « coltura d'un'epoca ». Abbiamo le figure del poeta
filosofo, dell'artista pensatore, dell'« ottimo universale ».
È evidente che qui la parola « coltura » ha un altro significato.
Non esiste, vedemmo, una realtà lirica, ma tutta la realtà è ogni volta investita da
un diverso atteggiamento: artistico, logico, pratico. Ora il mondo della « coltura », in
quanto dominato dal pensiero, può esser tutta o gran parte della realtà viva in noi, cioè
pura e semplice « conoscenza » nostra, ardente della nostra passione, animata da quel
ritmo che all'artista è proprio. Esso ci darà un'arte, figlia delle civiltà più affinate, dove
L'Arte. XXVI, 19.