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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 26.1923

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Fasc. 4
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Ortolani, Sergio: Coltura ed arte, [2]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17343#0282

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26o SERGIO ORTOLANI

La coltura umanistica e la foga avventurosa degli uomini, ubriachi di libertà di fasto
e d'oro, signoreggiano e soffocano la popolare interiorità religiosa, malgrado la minacciata
ribellione del Savonarola; la società cortigiana e sensuale assorbe in un egocentrismo
quasi crudele l'interesse delle coscienze, dimentiche di superiori ragioni civili e sociali
nella « pratica » più sfrenata e superficiale. Anche l'ideale classico si muta: non più
disciplina serena, ma voluminosa eloquenza, sonorità trionfale. E via via l'ardore erudito
si fa ricerca che sè sola sazia. Abbiamo il letterato puro, il retore ornatissimo, che combina
e ricombina i perfetti moduli petrarcheschi, il musico che sviluppa la virtuosità elegante
dei suoi corali, ove il madrigale, meccanica testura, intreccia le voci multiple per puro
gioco disegnativo. Così l'architettura, sotto il peso degli esempli romani, si stabilizza e
si raggela, carca d'oggetti superficialmente sentiti: Sangallo, Peruzzi annegano nella Ro-
manità la viva grazia toscana. E la scoltura declama secondo il modo delle «anticaglie »
via via rimesse in luce dalla foga dei ricercatori, e prende col Sansovino una via sempre
più movimentata e decorativa, trasportandosi nel mondo pittorico veneziano.

Questa grande civiltà magniloquente e sontuosa si travasa — diremmo — a Roma,
e vi trova il suo naturale ambiente, quando il mecenatismo dei papi toscani vuole il suo
trionfo, emulando gli antichi imperatori.

Roma era nata all'arte con la metà del Quattrocento toscano. Fin allora !a favella
giottesca avea con fiochissime voci parlato qualche staccata parola in cui si perpetuava
il gran sogno antico nella semplice fissità cristiana. Piero della Francesca e Melozzo vi
avean suscitato la locale scuola antoniazzesca, ripetitrice di moduli malcompresi, con
l'anima dei madonnai paesani. Ma la schiera del Ghirlandaio, del Signorelli, del Botticelli,
del Perugino, del Pinturicchio specialmente, avea aperto la Sistina, il Vaticano e Roma
alle grazie e all'acuzie toscana, proprio quando l'Alberti e il Rossellino le avevano rido-
nato in Palazzo Venezia quasi il suggello della ripresa romanità. D'allora in poi i reflussi
toscani sempre più crebbero finché nel cinquecento l'ebbero per patria e vi intonarono
l'ultimo e il più grande canto della civiltà fiorentina.

Prima tuttavia che Firenze, ove le nuove attività critiche originali spuntavano ad
organizzare la ormai schiacciante mora erudita, singolarizzasse sempre più l'atteggiamento
analitico dello spirito che le vedemmo proprio da tempo, una dolcissima voce, che nascea
dall'estremo ammorbidirsi della visione pittorica anelante la libertà delle forme nella luce,
essa trovava in quel vaniente modellato chiaroscurale che s'accentua fino allo « sfumato »
di Leonardo da Vinci.

Già ne vedemmo il compito illeggiadritore di femminee rotondità nei senesi, il suo
rarefarsi nella polvere colorata e traslucida di Masolino e del Beato, il suo caricarsi va-
riamente « sensuous » nel Lippi, nel Botticelli, in Filippino: ora col giovine Leonardo del-
l'Annunciazione esso riprende secondo nuovi intenti la sua ombrosa morbidezza. Leo-
nardo da Vinci « supera primo in Italia, la concezione lineare della pittura » e identifica
nella sua teorica chiaroscuro e colore, cioè intuisce la prospettiva tonale dei colori nell'atmo-
sfera. Ma questo che, come vedremo, solo Giorgione attuerà, rimane soffocato in lui
dal peso della tradizione disegnativa e da un bisogno intimo di penombra, di misterio-
sità, di veduta sommaria e lontana. Sicché « dalla visione cromatica egli giunge alla
monocroma per amore del rilievo » (L. Venturi), ma questo rilievo, tondeggiante e bagnato
d'una opacità serale, cresce così dalle affumature del fondo come da una densa nube
con tenuissimi passaggi e s'illumina per salienti, alla superficie. Esso si beve tutta la
filtrata e sommessa luminosità, anzi esso solo è luce nel quadro: s'inizia così « nell'arte
l'era della luce » (Id.). Finché, rompendo gli ultimi freni struttivi dell'umanesimo, la
libera fantasia dell'artista, attraverso questa concezione di rilievo-luce, inventa l'« abbozzo »,
in quei disegni ove le forme crescon dal denso fumo quasi pullulando, isviluppate come
inconcreti cosmi da un roteante moto (Id.). Questa realtà che mostra il senso d'una
« natura » più ampia e complessa, ove tutto in certo modo panteisticamente é vivo, s'allea
 
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