COLTURA ED ARTE
263
0 li placa, trae dalla creta l'uomo, lo fa peccare pel dolce invito di Eva, reclinata come
una bianca e saporosa preda a pie' del pomo, impone al padre esser deriso, impone
agli sventurati uomini, che coi denti difendono la vita, l'universale croscio del Diluvio.
Un peana ho detto, ma crudele e disumano tuttavia: grido d'un orgoglio che non piega,
d'un cuore di gigante ferito che scrolla e si batte, eppur sente l'implacabile morte e più
l'atterrisce l'implacabile vita che oltre, nei secoli, dura. Lo dice la madre fuggiasca, la
Furia che il piccolo avvinghia al seno, l'altro inconscio stretto alla gamba trascina, e
ignuda sotto l'arco del drappo srotolato dal vento va, va, indomita guerriera contro
l'uragano e il fato: simbolo della generazione, feroce, animale, inesorabile. Nemmeno la
Morte è salvezza: altre ire, altri tormenti e l'eterno dilaniarsi dell'anima sotto il fulmine
di Dio Vendicatore. Qui s'è pietrificato un uragano: tutto pesa nell'attimo immoto e in
questo peso è il senso della infinita impotenza umana.
Pare che i felici e i beati non abbian posto in terra e in Paradiso: anche l'inesausto
anelare a Dio di Michelangelo poeta ha un senso di desolazione che mai si libera intero
nella certezza. È una domanda ch'egli ripete piangendo, confitto in terra, polvere ed
ombra, più grave dei blocchi che il suo sogno di creatore scava dalle viscere delle Alpi
Apuane. Sentì egli la spiritual morte cui volgeva il suo secolo? Sentì egli nella civiltà
superata e ischeletrita, nell'inaridirsi delle anime, nel catoneggiare a vuoto delle co-
scienze tortuose e invilite, il vuoto che nessuna religione ricolma, se non s'è fatta realtà
sentimentale? Un altro mondo nasceva, una nuova lingua pittorica già si spandeva per
l'Italia. Ultimo della antica schiera, come il suo « Captivo » egli si dibatte e dalla terra è
bevuto. L'arte toscana moriva con lui.
(Continua).
Sergio Ortolani.
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0 li placa, trae dalla creta l'uomo, lo fa peccare pel dolce invito di Eva, reclinata come
una bianca e saporosa preda a pie' del pomo, impone al padre esser deriso, impone
agli sventurati uomini, che coi denti difendono la vita, l'universale croscio del Diluvio.
Un peana ho detto, ma crudele e disumano tuttavia: grido d'un orgoglio che non piega,
d'un cuore di gigante ferito che scrolla e si batte, eppur sente l'implacabile morte e più
l'atterrisce l'implacabile vita che oltre, nei secoli, dura. Lo dice la madre fuggiasca, la
Furia che il piccolo avvinghia al seno, l'altro inconscio stretto alla gamba trascina, e
ignuda sotto l'arco del drappo srotolato dal vento va, va, indomita guerriera contro
l'uragano e il fato: simbolo della generazione, feroce, animale, inesorabile. Nemmeno la
Morte è salvezza: altre ire, altri tormenti e l'eterno dilaniarsi dell'anima sotto il fulmine
di Dio Vendicatore. Qui s'è pietrificato un uragano: tutto pesa nell'attimo immoto e in
questo peso è il senso della infinita impotenza umana.
Pare che i felici e i beati non abbian posto in terra e in Paradiso: anche l'inesausto
anelare a Dio di Michelangelo poeta ha un senso di desolazione che mai si libera intero
nella certezza. È una domanda ch'egli ripete piangendo, confitto in terra, polvere ed
ombra, più grave dei blocchi che il suo sogno di creatore scava dalle viscere delle Alpi
Apuane. Sentì egli la spiritual morte cui volgeva il suo secolo? Sentì egli nella civiltà
superata e ischeletrita, nell'inaridirsi delle anime, nel catoneggiare a vuoto delle co-
scienze tortuose e invilite, il vuoto che nessuna religione ricolma, se non s'è fatta realtà
sentimentale? Un altro mondo nasceva, una nuova lingua pittorica già si spandeva per
l'Italia. Ultimo della antica schiera, come il suo « Captivo » egli si dibatte e dalla terra è
bevuto. L'arte toscana moriva con lui.
(Continua).
Sergio Ortolani.