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Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma — 37.1909

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Aurigemma, Salvatore: La protezione speciale della Gran Madre Idea per la nobilità romana e le leggende dell'origine troiana di Roma
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https://doi.org/10.11588/diglit.14879#0068
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La protezione speciale

E la nobiltà mostrò il proprio speciale interesse pel culto
della Gran Madre anche col curarne fino in tempi tardissimi
l'edificazione o il restauro dei templi. E noto come già Metello
riedificasse in Roma sul Palatino il tempio della Gran Madre
distrutto da un incendio nel 111 a. C. ('); e una iscrizione poi
(CI. !.. X. 4635) ci ricorda una Vitrasia Faustina, figlia del
console Pollione che fece restaurare, prima del 186 d C, il
tempio (2) della Gran Madre in Cales (oggi Calvi) in Campania.
Ma ciò che ci deve far meraviglia è che fino in tempi prossimi
al 340 d C. noi troviamo menzione di un restauro di un tempio

della vittima. — ciò che fece rivolgere il taurobolio alla salute degli indi-
vidui e alla prosperità della città —, in seguito, la credenza nell'immor-
talità dell'anima fece pensare di ricevere col sangue della vittima la rina-
scenza temporanea o eterna dell'anima (Cumont, Les religione orientales
dans le paganisme romain, pp. 83-84 ; cfr. Réville, Die religion in Rom
unter den Severen, pagg. 66, 93. Da ciò la frase " in aeternum renattis »
(C.I.L., VI, 510 = Dessau, Inscr., 4152] e la designazione della Gran
Madre e di Attis come « dii animae mentisque custodes » (C. I. L., VI, 499).

(!) lui. Obseq., 39 (ed. Iahn.); Ovid., Fasti, IV, 348. A proposito della
ricostruzione per opera di Metello, Ovidio (Fasti, IV, 350-352) ci dice che
fu con le offerte del popolo che venne raccolto il danaro necessario alla
grande opera. E da questa occasione derivò l'uso di permettere ai metra-
girti di chiedere elemosine per la dea. " Die » inquarti « parva cur stipe
quaerat opes?n « Contulit aes populus, de quo delubra Metellus | fecit »
ait. u Dandae mos stipis inde manet ». E anche questa una notizia errata
di Ovidio? Livio (XXIX, 1-1) dice che fin da quando la Gran Madre fu intro-
dotta, u populus frequens dona deae tulit »; ma che specie di doni questi
fossero noi non sappiamo. Del resto era antichissima l'abitudine degli
addetti al culto della Gran Madre di chiedere elemosine per la dea (cfr.
Snida, ^XQayvQxr];, dove racconta la triste fine di una metragirta nell'At-
tiea, tragica fine che provocò poi l'introduzione del culto della Gran Madre
in Atene). E che anche in Roma l'uso fosse almeno anteriore al 102 a. C.
lo prova l'episodio di Battace ingiuriato dal tribuno Aulo Pompeo che lo
chiamò ayigrijs (Plut., Mar., XVII, 8-10 ; cfr. Diod. fr. XXXVI, 13).
L'abitudine di raccogliere queste stipi in Roma ci è confermato da Cice-
rone (De Leg., II, 16, 40): « Stipem sustulimus nisi eam, quani ad paucos
dies propriam Idaeae Matris excepimus n. E anche Dionigi di Alicarnasso
parla dei urlroayvQxovvTtg, cosi come ad essi accennano, per frustarli a
sangue, Giovenale (Sat. VI, 511 e segg.) e Apuleio (Vili, 27 e segg.).
(?) L'iscrizione è incisa nell'epistilio di uno splendido edificio.
 
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