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Maffei, Scipione; Vallarsi, Jacopo [Bearb.]; Berno, Pierantonio [Bearb.]
Verona Illustrata (Parte Terza): Contiene La Notizia Delle Cose In Questa Citta' Piu' Osservabili — In Verona: Per Jacopo Vallarsi, e Pierantonio Berno, 1732

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Capo secondo: Antichità Romane
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https://doi.org/10.11588/diglit.62319#0023
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v. Ant.
Ver.l. 4.
c. 18.


il Cartello pezzi di lapide Romane , e di
pietre grandi lavorate veggonsi ancora. Tra
gliedifizj, che occupavano il colle, non è
inverisimile fallerò Terme, cioè bagni pu-
blici: alcun fonticello sanissimo, che ne zam-
pilla ancora; il fiume vivo, che /corre a
piedi ; alcuni tubi di metallo trovati già in
poca distanza; l’apparenza accennatadi ca-
merette, e l’essersi letto in Giovanni Dia-
cono dal Panvinio, che Teodorico fece Ter-1
me, e riparò in questo luogo un Acquedot-
to, po/Tono fortisicare tal congettura.
Ma Teatro fu ancora nella sinistra parte
di questo colle, con la /olitaindustria degli
Antichi di valerli con molto risparmio di
spesa del piè d’ alcuna collina, collocando-
vi sopra la gradazione dell’uditorio. Di
questo Teatro cadde una parteverso Iali-
ne del nono secolo ; per la qual cosa il Re
Berengario l’anno 895 rilasciò un Reseritto
publicato dal Saraina,in cui si dice,eh’ es
sendo precipitata per la gran vecchiezza una
parte del me%p Circo, che soggiace al Cartel-
lo, con morte di presica 40 persone, e con
ruina d’alquante case, si permetted’ atter-
rar preventivamente, e disfare quegli edisi-
zj publici, che fodero pericolanti, e con
terror del popolo Veronese minacciassèr rui-
na. Il nome di me%o Circo dato in quel tem-
po oseuro , indica il semicerchio de’ gradi
per gli spettatori. Negli ultim’ anni dell’
istessò Berengario Giovanni Vescovo di Pa-
via, Cittadin Veronese, donò, come si può
veder nell’ Ughelli, all’ Oratorio di S. Siro
da lui quivi edificato alquanti Ar covali, ed
Arcovoliti ad elso vicini , donati a lui dall’
Imperador Berengario , con che intele ar-
chi, e portici stati già del Teatro.
Per vederne i più considerabili avanzi,
entri il curioso nella casa, eh’ è su la piaz-
zetta del Redentore , e troverà quivi pezzi
grandi di tre archi simili in parte a quelli
dell’Arena; perquestiè che disseil Palladio
parlando del Teatro di Verona, come nel
basso fecero tanto grossì i pilastri, quanto
era il vano. Contigua è un’ altissima porta,
che fa sronte verso il fiume : il materiale
fu cavato sui luogo, e dall’ istessò colle, ed
ossendo però pietra tenera , o vogliam dir
tufo, non è maraviglia se l’edifizio nonres-
se. Andito ancora asfai capace, e formato
da due muri altissimi può qui osservarsi. Pas-
sando poi sotto Santa Libera, e proseguen-
do dirittamente s’entri nel giardinetto del
Sig. Padovani, dove in sotterraneo veggon-
si tre gran volte in pendenza, lavorate con
assai maggior pulitezza di quelle dell’ Anfi-
teatro: la prima va poco oltre, e termina
in una porta. Entrili poi nel prossimo orto
de’ Padri, dove si rendono osservabili due
Per Illuft. Parte HI.

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archi assai conservati. Quelle sono le più
sensibili, e co/picue reliquie del nostro rta-
bil Teatro, dalle quali però perla gran tras-
formazione seguita in tutto il sito, è vanis-
lima immaginazione il pretendere di poter ri-
cavare la sua pianta, e la precisa conforma-
zione . Anche per considerazioni architet-
toniche troppo sfigurata è ogni cola , e de-
trita : tuttavia i dotti Autori Franzesi del
Parallelo tra 1’antica Architettura , e la
moderna, ove toccano, che nelle più bell’
opere dell’ Antichità le colonne Doriche
veggansi senza baie, ne danno per esempio
il Teatro di Marcello, e quel di Verona.
Porta della Città, e Mara.
Amezo il Corso antichità si vede mol-
to /ingoiare, cioè una Porta de’ tempi
Romani bella e intera, d’ugual conservazio-
ne alla quale non so s’altra in oggi porta mo-
strarsi.Ravvisasi qui l’uso di que’tempi di
far doppie le porte delle Città, ergendone due
simili,e con uguale ornamento, l’una pres-
so a li’ altra, con due ordini di piccole finestre
sopra . Vedesi il dilègno di questa ne’ libri
del Caroto, del Saraina, del Panvinio,ed’
altri. Ma prima d’ altro dirne, è necessa-
rio sgombrarl’error comune degli Antiqua-
ri, Architetti, e Scrittori di primo grido,
i quali credono quella porta un’ Ar co, e così
la chiamano ne’ lor volumi. Meglio di essi
parlano i documenti noilri d’ ogni tempo,
ne’ quali la prossima Chiesa si dice S. Miche-
le adportas; e meglio il nostro popolo,che
servando ancora la tradizione antica, chia-
ma quello e&lfuÀo Porta de’ Borfari .Per fug-
gir d’or’innanzi sì fatto errore, abbiali per
indubitata regola, che dove son due i pasi
saggi, o sia le aperture, quella è Porta,
avendone gli Archi sempreuna sola,otre.
Il far le porte così duplicate antichisiimo fu,
e assai generai costume. Però Omero porte
Sceei nel numero del più disie a una porta
di Troia; e porte bipatenti disse quelle pur
di Troia Virgilio ; la ragion di che così fu
assegnata da Servio : perchè le porte fon gemi-
nate . Appiano altresì chiamò porte Colline ci9 M t
quella, che in Roma ebbe tal nome. Ab-
biam nelle Medaglie una porta di Emerita
Città di Spagna pur con due fori, e con due
mani di finestre sopra, talché par la noslra.
La ragione, anzi la necessìtà, di fare in tal
guisa quelle porte, dove gran quantità di
gente debba nell’istessò tempo andar dentro
e fuori, si riconoscerà perfèttamente da chi
per sorte s’incontri a voler’ useire in carroz-
za, o in calessò la mattina per tempo da.
una Città popolata, in quella stagionequan-
do gran numero di carri, e d’ altri attrez-
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C O N D O .
 
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