Disegno di Lelio Orsi. Galleria degli Uffizi in Firenze
San Pietro, percosse un'idra meravigliosamente fatta, la quale, movendo per via d'artifizio
sette teste e vomitando orribili fiamme, dilettò mirabilmente lo stesso duca e gli spettatori ».
Fra il 1535 e il 1546 l'Orsi avrebbe decorato, se si accetterà una ipotesi che esporremo
più innanzi, la sala d'un castello ancora esistente nella montagna reg'giana. Verso il 1544,
per incarico del Comune di Reggio, dipinse a chiaroscuro varie figure nella torre dell'oro-
logio, sulla Piazza Maggiore: su questo lavoro il Malaguzzi ci fa sapere che abbondano i
particolari in quell'Archivio provinciale. Circa nello stesso tempo, secondo il Pungileoni,
avrebbe eseguito numerose altre pitture, fra cui la decorazione della facciata di casa Cor-
radini e quella de'Ferretti; ma tre larghi frammenti di quest'ultima, trasportati su tela, ed
ora nel Museo civico di storia patria, non mostrano la sua maniera.
In Reggio l'Orsi aveva dunque lavoro, moglie e figli, quando nel 1546, implicato, non
si sa in che modo, nell'uccisione d'un Bojardi, avvenuta per opera del conte Muzio Fonta-
nella, che perciò venne decapitato, si rifugiò a Novellara presso i suoi antichi signori, i
conti Gonzaga, che ne presero le difese, e quale loro suddito (giacché la contea di Novel-
lara era indipendente) non vollero consegnarlo al governatore di Reggio: ciò è narrato in
una lettera di Donna Costanza degli stessi Gonzaga, pubblicata dal Malagoli. Solo sei anni
dopo, nel 1552, Lelio si mostra tutto lieto per la nuova ricevuta da Reggio, che si era
finalmente disposti a perdonare la sua inocenza, e per la speranza di ritornare a rivedere
la patria, come scriveva in una lettera pubblicata dal Malaguzzi.
Ma durante il forzato soggiorno a Novellara i legami co' suoi signori si strinsero tanto
che nel 1553, quando forse poteva esser tornato a Reggio, si trovava invece a Venezia coi
conti Camillo ed Alfonso Gonzaga, coi quali giunse, alla fine dell'anno dopo, in Roma, ove
trovavasi ancora nel settembre del 1555: una lettera della contessa Costanza al figlio Alfonso,
pubblicata da G. B. Venturi nelle Notizie di artisti reggiani, ci fa sapere che la moglie
dell'Orsi diceva roba da chiodi per la prolungata assenza del marito, mentre la contessa
aveva sempre « creso che lo menaste per far piacere a lui, e non per bisogno vostro ».
Il che può ben credersi: veduta Venezia, un artista come l'Orsi non poteva non provare il
desiderio d'accompagnare i suoi signori a Roma per studiarvi i capolavori di Michelangelo e
Raffaello : se ne ha la conferma, oltre che nelle sue opere, nel poscritto ad una lettera (inedita)
del 1559, nel quale chiede che gli si mandi da Roma un disegno della cappella paolina.
Nel 1561 scriveva al conte Alfonso (Malagoli, allegato III) d'esser pronto con due
giovani aiuti a dipingere nella chiesa del Carmine, e pregava a provvedere il necessario
per non star in tempo: vi dipinse infatti la cupola, il coro, il refettorio, una tavola ed altre
opere; ma nulla più ne rimane. L'anno dopo, secondo il Pungileoni, attendeva insieme col
figlio a dipingere varie facciate di case nella stessa Novellara. Il conte Francesco, non volendo
essere da meno d'Alfonso, nel 1563 diede a dipingere all'Orsi una villa detta il casino di
sopra, ove trovavasi la sala descritta dal Thode. Il pittore, in una lettera pubblicata dal
Malagoli [allegato IV), l'avverte che la stalla era già dipinta, meno un cavallo che voleva
far lui e le camere; ma lo pregava a fare in modo che non si stesse indarno, «cioè che
si lavora un giorno, e poi che si sta otto che non si lavora», e che potesse soddisfare ad
San Pietro, percosse un'idra meravigliosamente fatta, la quale, movendo per via d'artifizio
sette teste e vomitando orribili fiamme, dilettò mirabilmente lo stesso duca e gli spettatori ».
Fra il 1535 e il 1546 l'Orsi avrebbe decorato, se si accetterà una ipotesi che esporremo
più innanzi, la sala d'un castello ancora esistente nella montagna reg'giana. Verso il 1544,
per incarico del Comune di Reggio, dipinse a chiaroscuro varie figure nella torre dell'oro-
logio, sulla Piazza Maggiore: su questo lavoro il Malaguzzi ci fa sapere che abbondano i
particolari in quell'Archivio provinciale. Circa nello stesso tempo, secondo il Pungileoni,
avrebbe eseguito numerose altre pitture, fra cui la decorazione della facciata di casa Cor-
radini e quella de'Ferretti; ma tre larghi frammenti di quest'ultima, trasportati su tela, ed
ora nel Museo civico di storia patria, non mostrano la sua maniera.
In Reggio l'Orsi aveva dunque lavoro, moglie e figli, quando nel 1546, implicato, non
si sa in che modo, nell'uccisione d'un Bojardi, avvenuta per opera del conte Muzio Fonta-
nella, che perciò venne decapitato, si rifugiò a Novellara presso i suoi antichi signori, i
conti Gonzaga, che ne presero le difese, e quale loro suddito (giacché la contea di Novel-
lara era indipendente) non vollero consegnarlo al governatore di Reggio: ciò è narrato in
una lettera di Donna Costanza degli stessi Gonzaga, pubblicata dal Malagoli. Solo sei anni
dopo, nel 1552, Lelio si mostra tutto lieto per la nuova ricevuta da Reggio, che si era
finalmente disposti a perdonare la sua inocenza, e per la speranza di ritornare a rivedere
la patria, come scriveva in una lettera pubblicata dal Malaguzzi.
Ma durante il forzato soggiorno a Novellara i legami co' suoi signori si strinsero tanto
che nel 1553, quando forse poteva esser tornato a Reggio, si trovava invece a Venezia coi
conti Camillo ed Alfonso Gonzaga, coi quali giunse, alla fine dell'anno dopo, in Roma, ove
trovavasi ancora nel settembre del 1555: una lettera della contessa Costanza al figlio Alfonso,
pubblicata da G. B. Venturi nelle Notizie di artisti reggiani, ci fa sapere che la moglie
dell'Orsi diceva roba da chiodi per la prolungata assenza del marito, mentre la contessa
aveva sempre « creso che lo menaste per far piacere a lui, e non per bisogno vostro ».
Il che può ben credersi: veduta Venezia, un artista come l'Orsi non poteva non provare il
desiderio d'accompagnare i suoi signori a Roma per studiarvi i capolavori di Michelangelo e
Raffaello : se ne ha la conferma, oltre che nelle sue opere, nel poscritto ad una lettera (inedita)
del 1559, nel quale chiede che gli si mandi da Roma un disegno della cappella paolina.
Nel 1561 scriveva al conte Alfonso (Malagoli, allegato III) d'esser pronto con due
giovani aiuti a dipingere nella chiesa del Carmine, e pregava a provvedere il necessario
per non star in tempo: vi dipinse infatti la cupola, il coro, il refettorio, una tavola ed altre
opere; ma nulla più ne rimane. L'anno dopo, secondo il Pungileoni, attendeva insieme col
figlio a dipingere varie facciate di case nella stessa Novellara. Il conte Francesco, non volendo
essere da meno d'Alfonso, nel 1563 diede a dipingere all'Orsi una villa detta il casino di
sopra, ove trovavasi la sala descritta dal Thode. Il pittore, in una lettera pubblicata dal
Malagoli [allegato IV), l'avverte che la stalla era già dipinta, meno un cavallo che voleva
far lui e le camere; ma lo pregava a fare in modo che non si stesse indarno, «cioè che
si lavora un giorno, e poi che si sta otto che non si lavora», e che potesse soddisfare ad