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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 3.1900

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Fasc. 1-4
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Miscellanea
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https://doi.org/10.11588/diglit.24145#0203

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164

MISCELLANEA

la Coronazione di spine, ma non ha intiera che la figura
del Cristo. Era posseduto dal signor Dino Concina,
il quale lo dice a lui provenuto da Chioggia, nè si sa
più oltre; ma quanto all' attribuzione datagli non ere-
desi che possa esservi dubbio, sol che si esamini il
nudo, il quale non può suggerire, sì pel disegno che
per le ombre, altro nome che quello del Tintoretto.

Un quadro di Antonio Rosso. — è una tavola
a tempera, dono del cav. Guggenheim alla Galleria
dell'Accademia. Antonio Rosso è quel pittore cadorino
(di Zoldo) di cui narrano alcuni (e il Lanzi fra essi),
non si sa con quanto fondamento, che sia stato mae-
stro a Tiziano ; il quadro è quello stesso che il Lanzi
vide neh' oratorio di Antonio Zamberlano a Pieve di
Cadore. Rappresenta la Madonna col figlio sulle gi-
nocchia e le mani giunte, e con angeli genuflessi ai
lati ; nel fondo un interno architettonico ; in basso la
firma opvs antonj rvbei. La composizione non manca
di armonia, e nelle figure si palesa la ricerca della
espressione; ma il colore, sebbene oggi evidentemente
deperito, non è troppo gustoso, e il disegno è talvolta
meschino e in genere poco sicuro, specie nell'archi-
tettura del fondo, condotta con qualche singolarità
d'invenzione, ma con assai debole scienza di prospet-
tiva. Il che naturalmente nulla toglie al pregio che
ha il quadro per la Galleria e per gli studiosi del-
l'arte.

Le trifore del Palazzo Ducale. — La dibattuta
questione delle trifore da ricostituire si può considerare
ormai risoluta in senso negativo, dopo l'esame serio
che ne ha fatto e il parere competente che ha espresso
il prof. Pietro Paoletti, a ciò incaricato dalla Società
per l'arte pubblica.

Come è noto, i finestroni delle due facciate esterne
del Palazzo erano in origine scompartiti a trifore con
colonnette a cordoni elicoidali e alti intrecci a traforo ;
1' incendio fatale del 1577 avrebbe ridotto in tali con-
dizioni i marmi e le pietre di quelle trifore da con-
sigliare a toglierle tutte, fuorché quelle ad oriente,
rimaste incolumi. Quali ne siano state le ragioni, è
certo che la Signoria, col suggerimento e col l'accordo
di Antonio Da Ponte e di altri valentissimi artisti
trovò conveniente (non certo per amore di economia)
di mantenere quella mutilazione ; nè si potrebbe oggidì
con molta tranquillità di coscienza abbandonare al cri-
terio dei restauratori un' opera che non tentò quelle
sapienti persone. E se non è da negare che il ripri-
stino conferirebbe eleganza alle facciate, non meno
dell'eleganza è da tenere in conto il dovere di conser-
vare al venerando palazzo l'impronta nobiliare di ve-
tustà che purtroppo è stata in diverse parti alterata;
infine va tenuto conto soprattutto d'un argomento
che può dirsi capitale, del fatto, cioè, che le pitture
oggi esistenti nelle sale del Maggior Consiglio e dello

Scrutinio furono fatte quando i finestroni erano del
tutto liberi e vuoti come sono adesso ; perciò non sa-
rebbe, tanto più che esse hanno cominciato ad anne-
rire, un accorto provvedimento quello che riducesse
notevolmente la luce nelle due sale immense, le quali
certo di luce non abbondano, e rendesse quindi peg-
giori le condizioni di visibilità dei tanti tesori artistici
ivi esposti « ed oggi e per l'avvenire meno che mai
bisognosi di nuove ombre e penombre ».

Il palazzo di Bianca Cappello. — Di questo edi-
lìzio, famoso non tanto pel nome che gli è legato
quanto pregevole per valore artistico, l'attuale pro-
prietario sta iniziando il restauro coll'ammirevole in-
tento di riparare alle manomissioni che subì, specie
in questo secolo, e di ridonargli, per quanto è possi-
bile, quell'aspetto che aveva nei tempi migliori, im-
pedendone per tal modo anche l'ulteriore deperimento.

Il palazzo fu in origine di stile gotico, ma la fac-
ciata venne poi ricostruita da Pietro Lombardo, la
cui vaga architettura vi si ammira anche adesso,
sebbene le condizioni generali di conservazione siano
alquanto tristi.

Un affresco a Padova. — Nella chiesa di Santa
Sofia, ragguardevole anche dal lato archeologico,
l'abside era stato, forse da qualche secolo, ristretto
mediante la costruzione di un muro concentrico, il
quale celava completamente la parete primitiva. Su
questa appunto, per un'apertura praticata nel secondo
muro, si è trovato un affresco, raffigurante una Madonna
in trono con due piccoli monaci inginocchiati ai piedi
e due santi ai lati. Il parroco della chiesa, desideroso
di rintracciare un dipinto, che, secondo il Vasari e lo
Scardeone, il Mantegna vi avrebbe lasciato all'età di
17 anni, ha creduto di poterlo riconoscere nell'affresco
in questione ; ma l'ipotesi non sembra che possa ri-
tenersi fondata, poiché nessuna traccia vi è della ma-
niera del Mantegna e neppure della scuola dello Squar-
cione. Il prof. Alessandri, che vi si è recato ad esa-
minarlo per incarico dell'Ufficio regionale e ne ha poi
fatta una relazione, ritiene che l'autore del dipinto
appartenga alla scuola capitanata da Altichiero e da
Jacopo Avanzi, e che non possa in alcun modo met-
tersi innanzi il nome del Mantegna, giacché, per
quanto giovane potesse costui essere stato, avrebbe
certo fin d'allora manifestati i caratteri di quello stile
suo particolare che palesò poi a breve distanza nella
lunetta della chiesa del Santo e non molto più tardi
nella cappella degli Eremitani.

È utile, in ogni caso, demolire il muro più recente,
perchè l'affresco, sebbene di autore ignoto e non
d'importanza eccezionale, ha pur valore e merita di
essere rimesso alla luce ; in secondo luogo perchè si
otterrebbe contemporaneamente un altro vantaggio,
quello cioè di liberare alcuni eleganti capitelli bizan-
 
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