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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 21.1918

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Fasc. 1
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Venturi, Adolfo: L' ambiente artistico urbinate nella seconda metà del Quatrocento
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https://doi.org/10.11588/diglit.17338#0053

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L'AMBIENTE ARTISTICO URBINATE NELLA SECONDA METÀ DEL '400 27

morte nel cielo; il vento lotta con l'ampio mantello,
apre le fiammeggianti chiome di Cristo con palpito
d'ali; e la fitta siepe dei cherubini paffuti, di roseo
stucco, di forme piene, adoranti, si apre intorno
al Cristo in due ampie ali tese verso l'alto. La pas-
sione trasporta i grandi angeli suonatori dai corpi
potenti, erculei, amplificati ancora dalle vesti a
pieghe grandi, a seni rigonfi, dalle chiome bionde
che s'aprono ventilando intorno alle teste e si
accendono di fulgore nei grossi ricci inanellati.
I grandi occhi di un angelo suonatore di mandola
guardano languenti, le nari aperte bevono l'aria,
le labbra lucenti tumide s'aprono nell'estasi; e il
volto di un altro, magnifico figlio della luce, è tutto
un fulgore biondo'tra il biondo fulgor delle chiome
accese di sole, dell'aureola composta di faville di
oro. In quella luce di seta bionda, sboccia il rosso
velluto delle labbra tumide, s'affonda il velluto
nero delle iridi. E il taglio diritto, orizzontale,
della palpebra inferiore, dà una straordinaria fis-
sità allo sguardo, una straordinaria luminosità
allo smalto-vitreo della sclerotica in contrasto con
l'iride dilatata nera opaca: le luci di velluto delle
carni e delle chiome non raggiungono l'intensità
luminosa di quegli occhi di madreperla fissi nel
sole, radiosi. La veste si sbatte come vela gonfia
dal vento intorno alle membra poderose, e le ali
gigantesche, tese di slancio verso l'alto, chiudono,
in un altro nimbo fulgente, il nimbo composto di
musaico d'oro. Ma l'ardore erompe con intensità
irrefrenata nell'angelo gigantesco che si scaglia
con furore d'ebbrezza nell'aria, seguendo, col volo
dei panni ondati, col fremito delle chiome che
s'aprono al vento, le scosse del cembalo fra le
braccia tese. E dal basso gli Apostoli volgevano a
Dio teste leonine chiomate con sguardo di veggenti,
teste giovanili dalle carni di velluto e gli occhi lim-
pidi nell'estasi, teste di vecchi, prese in scorcio
potente, torbide, come tormentate da cruccio
profondo.

Con la sua abside dei SS. Apostoli Melozzo
dà la prima soluzione del problema di decorazione
a figure, per l'uso frequente largo degli scorci,
per la ricerca del movimento aereo, ostacolata
ancora dalla pesantezza delle ampie corporature;
e quando il Correggio stenderà la sua Vergine
con le aperte braccia palpitanti entro la conca
dei beati, continuerà sempre la via indicata dal
Maestro romagnolo, circondando il suo Cristo
trionfatore di una fitta siepe concava formata
da coorti di angeli.

A Urbino, Melozzo eseguì il ritratto di Gui-
dobaldo fanciullo, ora nella galleria Colonna
(fig. 1). Il ritrattino è visto di profilo, col grazioso
berretto ornato di una gemma e di una grossa
perla, posto sopra la gran chioma, cadente a

frangia sulle sopracciglia e ravviata sul collo.
Appena, sulle guance, si staccano, ventilando,
alcune ciocche per rompere la regolarità dell'ac-
conciatura. 1 lineamenti del volto sono indicati
con pochi tratti esprimenti bene la fanciullezza
rubiconda e imperiosetta del figlio del duca Fede-
rigo; la sopravveste purpurea, vellutata, è segnata
coi tratti rapidi del frescante, la collana a tinte

Fig. 1 — Melozzo: Ritratto di Guidobaldo.
(Fot. Anderson).

piatte. Ma più che altrove in questo ritratto ci
appare la deficienza dell'architettura- corporea:
alla sagoma rigorosa del profilo, così ben inqua-
drato, non risponde la sommaria, e, possiamo
anche dire, superficiale costruzione del corpo
imbottito entro la veste pesante, mal girato di
tre quarti sul fondo; il valore del piccolo quadro
è nella forza caratterizzatrice, nella fresca viva-
cità dei colori, nel bel velluto rosso della veste,
nella pelle diafana del volto, nelle seriche lumeg-
giature dei capelli biondi, finissimi.

Altra opera di Melozzo, conservata ancora nella
pinacoteca urbinate, è il Cristo benedicente: opera
di eccezione per il suo schema rigorosamente fron-
tale e simmetrico, più ancora che nel San Marco
pupa nella chiesa di San Marco a Roma. Un solco
metallico divide la tunica, che non ha ancora sul
corpo il dominio assunto poi dalle pesanti vesti
vellutate di Melozzo, ma s'imprime sul petto
ampio; i movimenti delle mani sono intesi in
prospettiva, molto più di quanto avrebbe saputo
intenderli un seguace di Giusto di Gand: sintetica
la forma; di maestà profonda, l'espressione della
testa rigida con le occhiaie segnate e lumeggiate
così diligentemente, come negli angeli dei SS. Apo-
 
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