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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 21.1918

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Fasc. 2
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Venturi, Adolfo: La lettera di Raffaello a Leone X sulla pianta di Roma antica
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64

ADOLFO VENTURI

e vi sono in essa quelle parole in più che sfug-
gono a chi componga un discorso, senza vederle
in rassegna sulla carta e senza avervi meditato su.
Inoltre, certe liprese del soggetto, delle parole ini-
ziali di un periodo, è più proprio di chi discorra o
svolga a viva voce un concetto, di quello che sia
particolare di scrittore che sulla carta misuri il
giro del suo periodo. Esempio: « Quanti pontefici,
padre Santo, quali havevano il medesimo ufficio
che ha Vostra Santità, ma non già il medesimo sa-
pere, nè '1 medesimo valore et grandezza d'animo;
quanti, dico, pontefici hanno permesso, ecc. ». La
lettera, come si sente, prende il carattere d'una
orazione; ed è probabile che tale carattere le sia
venuto appunto dall'essere dettata. Può ritenersi
che Baldassarre Castiglione, udite le idee di Raf-
faello, vi desse forma in quel modo oratorio che
troviamo nella lettera, e, quindi, preso il mano-
scritto, vi apportasse quei mutamenti che abbiamo
indicato, quella coordinazione delle immagini,
quelle correlazioni più strette di idee, e, si potrebbe
dire, il corso pieno, ampio, magnieloquente del
periodare.

Abbiamo dimostrato che la famosa lettera a
Leone X sulla pianta di Roma antica è di Raffaello
ma scritta da Baldassar Castiglione. Non poteva
Raffaello trovare un traduttore de' suoi pensieri
più in accordo, più all'unisono. Sentite come il Ca-
stiglione parli nel Cortigiano della bellezza (pa-
gina 473 e segg., ed. Cian):

« Ma, parlando della bellezza che noi intendemo,
che è quella solamente che appar ne' corpi e mas-
simamente nei volti umani, e move questo ardente
desiderio che noi chiamiamo amore; diremo, che
è un flusso della bontà divina, il quale benché si
spanda sopra tutte le cose create, come il lume del
sole, pur quando trova un volto ben misurato e
composto con una certa concordia di colori distinti,
ed aiutati dai lumi e dall'ombre e da una ordinata
distanzia e termini di linee, vi s'infonde e si di-
mostra bellissimo, e quel subietto ove riluce adorna
ed illumina d'una grazia e splendor mirabile, a
guisa di raggio di sole che percota in un bel vaso
d'oro terso e variato di preziose gemme; onde pia-
cevolmente tira a sè gli occhi umani e per quelli
penetrando s'imprime nell'anima, e con una nova
suavità tutta la commove e diletta... ».

Non pare che il Castiglione definisca la bel-
lezza dell'arte di Raffaello, definendo la propria
idea? L'autore del Cortegiano rende nel libro il
tipo della perfezione vagheggiato da Raffaello, e
sempre, leggendo il libro prezioso, si ricorre al
grande figlio d'Urbino, che aveva, si può dire, suc-
chiato, alla corte dei Montefeltro, il latte dell'edu-
cazione castiglionea. Quando il letterato consiglia
l'oratore che « talorcon una semplicità di quel can-

dore, che fa parer che la natura istessa parli, [sappia]
intenerirgli [gli animi nostri] e quasi innebriargli di
dolcezza », noi ricorriamo all'arte dell'Urbinate.

Le idee della lettera sono di Raffaello, ma l'abito
che vestono, dato dal Castiglione, non poteva esser
più acconcio e più proprio, tanto da lasciar ritenere
che l'abito stesso fosse fatto da Raffaello e non da
altri, appunto per quell'intesa che correva tra i
due, per le idealità loro comuni.

Se noi esaminiamo attentamente la lettera e la
confrontiamo con il Cortegiano, saremo sorpresi di
trovar trasportati in quella i modi di questo, e non
solo nel girar de' periodi, nell'annodarli, nel chiu-
derli, ma nell'uso delle stesse parole e delle stesse
immagini.

Ricorre nel Cortegiano l'idea del mondo, di un
insieme di cose, come una macchina (es. p. 123), e
nella lettera si legge come, distrutte le opere grandi
dell'antichità dai Barbari, non restasse se non la
macchina del tutto.

Nel Cortegiano si legge più volte del bene del-
l'ozio, del buon governo de' popoli che dà loro
l'ozio e 7 riposo e la pace, delle virtù che si conven-
gono molto più nella pace e nell'ozio, dimostrando
il Castiglione di non guardare all'ozio come al padre
dei vizi, e invece di guardarlo come un dono pre-
zioso che s'accompagna a quello della pace. E
nella lettera, seguendo questo stesso filo del pen-
siero, dice: « cosi dalla pace e concordia nasce la
felicità ai popoli, e il laudabil ozio ».

I criteri artistici nel Cortegiano, scritto prima
della lettera, trovano perfettamente riscontro in
questa: si conserva lo stesso modo di vedere e di
esprimersi. Al principio della lettera si osserva che
molti, misurando col loro piccolo giudizio le cose
grandissime de' Romani, le stimano favolose, men-
tre lui « considerando la divinità di quegli animi
antichi, non istima fuor di ragione il credere, che
molte cose a noi paiano impossibili, che ad essi
erano facilissime ». Ora questo facilissime risponde
perfettamente alla lode che il Castiglione nel Corte-
giano fa di quella tal facilità che nasconde la fatica,
della facilità che genera grandissima meraviglia,
ed è propria « della vera arte, che non appar esser
arte ».

Nel Cortegiano è parola degli edifici « degli an-
tichi Romani, di che si vedono tante reliquie... che
son gran testimonio del valor di quegli animi di-
vini »; e nella lettera, oltre leggervi nel principio
che « le reliquie che ancor si veggono delle mine di
Roma » fanno considerare « la divinità di quegli
animi antichi », si trovano usate le stesse parole,
là dove si esorta Sua Santità il papa Leone X d'aver
cura di quel poco che resta di questa antica madre
della gloria, e della grandezza italiana, per testi-
monio del valore e della virtù di quegli animi divini.
 
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