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ADOLFO VENTI'RI
fulgore di un invisibile baleno, che attrae l'ardente ombra dello sguardo. Il romantico
pathos dell'immagine s'esalta per un'appassionata serie di contrasti: volto e mano incli-
nati, tra luce e tenebre, greve lutto di chiome sul manto di vivo e denso sangue.
Nè meno intenso è il contrasto tra la soffocata luce bigio argento del fondo, le chiome
nerissime e l'ardente pallore di Luca: il volto affascinato di visionario, dai lineamenti
febbrili, non segue il moto inconsapevole della mano, che plasma d'ineffabile chiaror
lunare la testa del Bimbo, ma l'apparizione divina, di cui il pennello dell'Evangelista
è strumento inconscio.
Il dramma di luci e d'ombre, di lampi e tenebre, che s'accentra su queste due ispirate
immagini, si placa sulla platonica immagine di Matteo, in ascolto di una voce divina, e
insieme la massa, ondata inquieta nelle figure di fondo, correggescamente fluida in quella di
Giovanni, s'assoda, si plasma con ferma definizione nella calma luce, che d'un tratto lam-
bisce d'un raggio la ciocca sulla tempia sinistra: rapido sfioccar di spume contro un fran-
gente, in vivo chiaror di luna. Anche la mano di Matteo, placida massa, riposa inerte sul
foglio, che rovescia la rigida seta bigio argento del suo rottilo disciolto sulla testa dell'an-
giolo, a includere con grazia squisita, tra il proprio freddo bagliore e il velluto d'ombra
della tavola, la luce dei ricci castani, del corpo argentino, dell'ala, screziata appena di
colore nelle piume così mollemente filtrate d'argento lunare. Finché, sulla figura di Marco,
sul nudo braccio, scolpito, come le guance, come i lineamenti fermi, come la mano accen-
nante, da un riverbero fisso e intenso, immobile e greve, sembra cader il peso della com-
plessa stipata costruzione, come sopra saldo piliero.
L'artista caravaggesco, trascinato sulle vie del Correggio e del Guercino nelle dibat-
tute figure del fondo, afferma in questo grandioso sfaldato blocco la propria istintiva
passione per la compattezza e la solidità della forma. Nello spazio breve, i drappi spessi e
fluenti, i mantelli di velluto del bove e del leone, oggetto dei più suntuosi e morbidi
filtri di luce, e i volumi compatti, e le nitide strisce dei rottili, diventano sparsi intensi
abbaglianti focolari di splendore. Il muso del bove è mostruoso, con le sue larghe nari
tumide, come il muso del vitello nel Figliuol prodigo di palazzo reale a Napoli, ma chi
potrà ridire la voluttà di quelle pennellate intrise d'argento, indugianti nella massa sfatta
alla luce, di quel solco largo e serpentino di sole che segna il molle contorno delle nari, o
dell'occhio, perla nera che sembra liquefarsi entro il latte della sclerotica? E il pittore che
scolpisce con la luce e con l'ombra il blocco potente di Marco, ecco plasma di alone
lunare, di luci periate, molli e tenere, il gruppo di Maria col Bambino, fuor della tela, in
rilievo, come tutte le forme di Mattia Preti devono essere, ineluttabilmente, eteree nel
pallore delle tinte e dei lumi, e nello sguardo vago: fiori di luce. Il profilo lunare di un'ala
di cherubo, la cui testa quasi si cela, per gioco, dietro la tela del quadro, una manina
che avanza il vaso dei colori, la tavolozza, altra meravigliosa ala iridata, completano
l'opera grande con uno di quei deliziosi capricci cui s'abbandona lieto e leggiero il pen-
nello del Calabrese.
Il distacco marmoreo delle figure dal fondo, che dà la massima evidenza plastica
alle forme del quadro di Palermo, dispare dal quadro del Museo nazionale di Bruxelles
(fig. 2); i torrenti luminosi del cielo e le figure protese, come piegate travolte da quel-
l'impeto di luce obliqua, vele strappate da colpi di vento; i baleni che investon le forme,
abbacinando volti, traendo dalla ricca sostanza cromatica erranti scintillìi di gemme, e
la violenta agitazione dei gesti, traggono, dalla immediata istantanea rispondenza, esalta-
zione teatrale. L'atteggiamento pencolante del personaggio seduto, quasi di cieco che
avanzi nelle tenebre, arresta con gesto alato musicale la cascata obliqua del gruppo verso
la stesa immagine di Giobbe, ed ecco ripeter il gesto, l'atteggiamento proteso, un'altra
figura, sul cui volto un fendente d'ombra proietta maschere notturne, d'un colpo lace-
rando il livido bagliore della caligine: commento alla direzione del gruppo, eco di essa nel
temporalesco cielo.
ADOLFO VENTI'RI
fulgore di un invisibile baleno, che attrae l'ardente ombra dello sguardo. Il romantico
pathos dell'immagine s'esalta per un'appassionata serie di contrasti: volto e mano incli-
nati, tra luce e tenebre, greve lutto di chiome sul manto di vivo e denso sangue.
Nè meno intenso è il contrasto tra la soffocata luce bigio argento del fondo, le chiome
nerissime e l'ardente pallore di Luca: il volto affascinato di visionario, dai lineamenti
febbrili, non segue il moto inconsapevole della mano, che plasma d'ineffabile chiaror
lunare la testa del Bimbo, ma l'apparizione divina, di cui il pennello dell'Evangelista
è strumento inconscio.
Il dramma di luci e d'ombre, di lampi e tenebre, che s'accentra su queste due ispirate
immagini, si placa sulla platonica immagine di Matteo, in ascolto di una voce divina, e
insieme la massa, ondata inquieta nelle figure di fondo, correggescamente fluida in quella di
Giovanni, s'assoda, si plasma con ferma definizione nella calma luce, che d'un tratto lam-
bisce d'un raggio la ciocca sulla tempia sinistra: rapido sfioccar di spume contro un fran-
gente, in vivo chiaror di luna. Anche la mano di Matteo, placida massa, riposa inerte sul
foglio, che rovescia la rigida seta bigio argento del suo rottilo disciolto sulla testa dell'an-
giolo, a includere con grazia squisita, tra il proprio freddo bagliore e il velluto d'ombra
della tavola, la luce dei ricci castani, del corpo argentino, dell'ala, screziata appena di
colore nelle piume così mollemente filtrate d'argento lunare. Finché, sulla figura di Marco,
sul nudo braccio, scolpito, come le guance, come i lineamenti fermi, come la mano accen-
nante, da un riverbero fisso e intenso, immobile e greve, sembra cader il peso della com-
plessa stipata costruzione, come sopra saldo piliero.
L'artista caravaggesco, trascinato sulle vie del Correggio e del Guercino nelle dibat-
tute figure del fondo, afferma in questo grandioso sfaldato blocco la propria istintiva
passione per la compattezza e la solidità della forma. Nello spazio breve, i drappi spessi e
fluenti, i mantelli di velluto del bove e del leone, oggetto dei più suntuosi e morbidi
filtri di luce, e i volumi compatti, e le nitide strisce dei rottili, diventano sparsi intensi
abbaglianti focolari di splendore. Il muso del bove è mostruoso, con le sue larghe nari
tumide, come il muso del vitello nel Figliuol prodigo di palazzo reale a Napoli, ma chi
potrà ridire la voluttà di quelle pennellate intrise d'argento, indugianti nella massa sfatta
alla luce, di quel solco largo e serpentino di sole che segna il molle contorno delle nari, o
dell'occhio, perla nera che sembra liquefarsi entro il latte della sclerotica? E il pittore che
scolpisce con la luce e con l'ombra il blocco potente di Marco, ecco plasma di alone
lunare, di luci periate, molli e tenere, il gruppo di Maria col Bambino, fuor della tela, in
rilievo, come tutte le forme di Mattia Preti devono essere, ineluttabilmente, eteree nel
pallore delle tinte e dei lumi, e nello sguardo vago: fiori di luce. Il profilo lunare di un'ala
di cherubo, la cui testa quasi si cela, per gioco, dietro la tela del quadro, una manina
che avanza il vaso dei colori, la tavolozza, altra meravigliosa ala iridata, completano
l'opera grande con uno di quei deliziosi capricci cui s'abbandona lieto e leggiero il pen-
nello del Calabrese.
Il distacco marmoreo delle figure dal fondo, che dà la massima evidenza plastica
alle forme del quadro di Palermo, dispare dal quadro del Museo nazionale di Bruxelles
(fig. 2); i torrenti luminosi del cielo e le figure protese, come piegate travolte da quel-
l'impeto di luce obliqua, vele strappate da colpi di vento; i baleni che investon le forme,
abbacinando volti, traendo dalla ricca sostanza cromatica erranti scintillìi di gemme, e
la violenta agitazione dei gesti, traggono, dalla immediata istantanea rispondenza, esalta-
zione teatrale. L'atteggiamento pencolante del personaggio seduto, quasi di cieco che
avanzi nelle tenebre, arresta con gesto alato musicale la cascata obliqua del gruppo verso
la stesa immagine di Giobbe, ed ecco ripeter il gesto, l'atteggiamento proteso, un'altra
figura, sul cui volto un fendente d'ombra proietta maschere notturne, d'un colpo lace-
rando il livido bagliore della caligine: commento alla direzione del gruppo, eco di essa nel
temporalesco cielo.