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LIONELLO VENTURI
mathematico ma come pictore scrivere di queste cose. Quelli col solo ingegnio, separata ogni
materia, misurano le forme delle cose; noi, perchè vogliamo le cose essere poste da vedere,
per questo useremo, quanto dicono, più grassa Minerva ». E cioè l'Alberti nel suo costruire
la teoria-storia dell'arte fiorentina espone di ottica quello, e soltanto quello, che si può
attuare in prospettiva pittorica; in tal modo assimila la scienza per uso artistico, e dal
contatto di scienza e d'arte fra scaturire la sua critica. Metodo empirico? In parte. Ma
in parte anche metodo storico, poiché si tratta delle idee artistiche fiorentine del Quat-
trocento. Il Ghiberti invece non stabilisce rapporti tra l'arte del suo tempo e la scienza che
egli incasella, e che gli resta perfettamente estranea. Certo il Ghiberti precorre Piero della
Francesca, i cui trattati matematici si distaccano completamente dall'arte. Ma, appunto
per questo, nemmeno Piero della Francesca è un trattatista d'arte. Il Ghiberti e Piero
sono due grandi artisti; oltre a ciò il Ghiberti è un compilatore di matematica, e Piero
è un matematico, a quel che si dice, originale. Ma all'uno e all'altro mancava la qualità
di fondere in qualche modo la loro attività matematica e la loro attività artistica. L'Al-
berti era un artista, ed era un matematico, ma, in sovrappiù, era un filosofo: e appunto
la sua attività di filosofo gli permise di fondere le sue conoscenze matematiche e arti-
stiche, per concluderne una teoria-storia dell'arte fiorentina del Quattrocento.
Nè come storico, nè come teorico dell'arte, il Ghiberti dunque aveva quel predominio
sui contemporanei che gli è stato assegnato. Con ben altro rigore, altri nel suo tempo
aveva gettato il ponte tra gli scritti antichi e la vita artistica moderna.
Di fronte agli scritti antichi, il Ghiberti si attaccava ai particolari perchè non riusciva
a vederne l'insieme. Di fronte ai contemporanei, disgustato del mondo nuovo brunelleschiano
donatelliano albertiano che lo premeva d'attorno, il Ghiberti ne affermava la decadenza,
e riserbava l'affetto del cuore all'arte del Trecento.
Se tuttavia i Commentarli non ci lasciano ammettere che il Ghiberti abbia saputo
nutrirsi di antichità classica come i suoi coetanei, l'attività più intima del suo spirito, la
produzione plastica, potrebbe condurci a risultato opposto.
E infatti molti hanno vantato il classicismo delle porte del Paradiso. Il Taine, per
esempio, dopo aver ricordato l'entusiasmo del Ghiberti per l'antico, constata: « Quand
la passion soulève les muscles et plissé les visages, c'est sans les déformer ni les grimer;
le sculpteur florentin, comme jadis le poéte grec, ne lui permet point d'aller jusqu'au
bout de sa course; il la soumet à la mesure et subordonne l'expression à la beauté... Pour
lui, l'art est une harmonie qui purifie l'émotion pour assainir l'àme ». Molto ben detto, e
giustamente; chi ha guardato le porte del Paradiso non ne ha mai più dimenticato la
serenità e l'armonia.
Ma che classicismo è quello? È il classicismo della filosofia, e cioè il momento eterno
dell'opera d'arte perfetta, e non il classicismo della storia, e cioè il carattere individuante
le opere d'arte dei Greci e dei Romani. Poteva il Taine confondere ancora i due classicismi,
ma non possiamo più confonderli noi oggi, che abbiamo ben altra esperienza della sere-
nità gotica, e cioè del classicismo (filosofico) dell'arte così detta gotica. Gentile da Fa-
briano, Beato Angelico, i fratelli de Limbourg, e tanti e tanti altri creatori di serenità
squisite, sarebbero forse stati alla scuola degli scultori greci e romani? Anzi i tre maestri
fiorentini del primo Quattrocento sui quali l'arte classica ebbe l'influsso maggiore, Brunel-
leschi Donatello Masaccio, non sono certo pel tempo loro i maggiori rappresentanti della
serenità in arte. E questo avvenne allora, perchè all'antico non si chiese tanto la legge
dell'armonia, quanto i mezzi per penetrare più energicamente nella realtà fisica e psico-
logica.
A parte dunque il classicismo in senso filosofico, quanto di classico, in senso storico,
troviamo nell'arte del Ghiberti? Qualche motivo occasionale, specie nell'architettura e
nel nudo, senza importanza di sorta per l'essenza dello stile, come si può trovare anche
nell'arte del Trecento.
LIONELLO VENTURI
mathematico ma come pictore scrivere di queste cose. Quelli col solo ingegnio, separata ogni
materia, misurano le forme delle cose; noi, perchè vogliamo le cose essere poste da vedere,
per questo useremo, quanto dicono, più grassa Minerva ». E cioè l'Alberti nel suo costruire
la teoria-storia dell'arte fiorentina espone di ottica quello, e soltanto quello, che si può
attuare in prospettiva pittorica; in tal modo assimila la scienza per uso artistico, e dal
contatto di scienza e d'arte fra scaturire la sua critica. Metodo empirico? In parte. Ma
in parte anche metodo storico, poiché si tratta delle idee artistiche fiorentine del Quat-
trocento. Il Ghiberti invece non stabilisce rapporti tra l'arte del suo tempo e la scienza che
egli incasella, e che gli resta perfettamente estranea. Certo il Ghiberti precorre Piero della
Francesca, i cui trattati matematici si distaccano completamente dall'arte. Ma, appunto
per questo, nemmeno Piero della Francesca è un trattatista d'arte. Il Ghiberti e Piero
sono due grandi artisti; oltre a ciò il Ghiberti è un compilatore di matematica, e Piero
è un matematico, a quel che si dice, originale. Ma all'uno e all'altro mancava la qualità
di fondere in qualche modo la loro attività matematica e la loro attività artistica. L'Al-
berti era un artista, ed era un matematico, ma, in sovrappiù, era un filosofo: e appunto
la sua attività di filosofo gli permise di fondere le sue conoscenze matematiche e arti-
stiche, per concluderne una teoria-storia dell'arte fiorentina del Quattrocento.
Nè come storico, nè come teorico dell'arte, il Ghiberti dunque aveva quel predominio
sui contemporanei che gli è stato assegnato. Con ben altro rigore, altri nel suo tempo
aveva gettato il ponte tra gli scritti antichi e la vita artistica moderna.
Di fronte agli scritti antichi, il Ghiberti si attaccava ai particolari perchè non riusciva
a vederne l'insieme. Di fronte ai contemporanei, disgustato del mondo nuovo brunelleschiano
donatelliano albertiano che lo premeva d'attorno, il Ghiberti ne affermava la decadenza,
e riserbava l'affetto del cuore all'arte del Trecento.
Se tuttavia i Commentarli non ci lasciano ammettere che il Ghiberti abbia saputo
nutrirsi di antichità classica come i suoi coetanei, l'attività più intima del suo spirito, la
produzione plastica, potrebbe condurci a risultato opposto.
E infatti molti hanno vantato il classicismo delle porte del Paradiso. Il Taine, per
esempio, dopo aver ricordato l'entusiasmo del Ghiberti per l'antico, constata: « Quand
la passion soulève les muscles et plissé les visages, c'est sans les déformer ni les grimer;
le sculpteur florentin, comme jadis le poéte grec, ne lui permet point d'aller jusqu'au
bout de sa course; il la soumet à la mesure et subordonne l'expression à la beauté... Pour
lui, l'art est une harmonie qui purifie l'émotion pour assainir l'àme ». Molto ben detto, e
giustamente; chi ha guardato le porte del Paradiso non ne ha mai più dimenticato la
serenità e l'armonia.
Ma che classicismo è quello? È il classicismo della filosofia, e cioè il momento eterno
dell'opera d'arte perfetta, e non il classicismo della storia, e cioè il carattere individuante
le opere d'arte dei Greci e dei Romani. Poteva il Taine confondere ancora i due classicismi,
ma non possiamo più confonderli noi oggi, che abbiamo ben altra esperienza della sere-
nità gotica, e cioè del classicismo (filosofico) dell'arte così detta gotica. Gentile da Fa-
briano, Beato Angelico, i fratelli de Limbourg, e tanti e tanti altri creatori di serenità
squisite, sarebbero forse stati alla scuola degli scultori greci e romani? Anzi i tre maestri
fiorentini del primo Quattrocento sui quali l'arte classica ebbe l'influsso maggiore, Brunel-
leschi Donatello Masaccio, non sono certo pel tempo loro i maggiori rappresentanti della
serenità in arte. E questo avvenne allora, perchè all'antico non si chiese tanto la legge
dell'armonia, quanto i mezzi per penetrare più energicamente nella realtà fisica e psico-
logica.
A parte dunque il classicismo in senso filosofico, quanto di classico, in senso storico,
troviamo nell'arte del Ghiberti? Qualche motivo occasionale, specie nell'architettura e
nel nudo, senza importanza di sorta per l'essenza dello stile, come si può trovare anche
nell'arte del Trecento.