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scarum sollemnitas voluptatum (1). Che se gli edifici
dovevano rimanere illesi, il privilegio non s'esten-
deva ai boschi sacri, che li circondavano; ed a questi
dee essere presto o tardi nel suburbano di Roma toc-
cata la sorte, che loro toccò nel resto d'Italia ; d'es-
sere cioè tagliati^ ed il suolo ridotto a cultura. Multi
(sono parole notissime dell'antico interpolatore del
trattato de limitibus agrorum) crescente religione sacra-
tissima Christiana templorum lucos profanos sive loca
occupaverunt et serunt (2).
Non verrò tenendo dietro passo per passo alla le-
gislazione diretta ad abolire l'idolatria. Da Costante
e da Costanzo a Teodosio quelle leggi furono quando
più quando meno, in Roma però sempre poco o nulla,
eseguite ; eccetto la confisca dei beni dei templi e la
remozione dell'ara della vittoria dalla curia del senato
ad ogni patto volute da Graziano nel 384 e dal suc-
cessore di lui Yalentiniano II mantenute (3). Teodosio
da principio fu mite verso i monumenti dell'antica
idolatria; e nel 382 dichiarò orrettizio un rescritto,
che aveva dato perchè un celeberrimo tempio, pare,
di Edessa pieno di simulacri fosse chiuso (4). Egli lo
volle aperto ali'uso dei cittadini, non però ad atti
religiosi nè a sacrifìci ; e ne volle conservati i si-
mulacri per il loro artistico pregio (simulacro, artis pre-
tto non divinitate metienda). Questa moderazione , che
manteneva sotto la cenere il fuoco non spento delle
vecchie are, poscia cedette il luogo a consigli più se-
veri. La storia di questi tempi risuona delle querele
di Libanio e d'altri pagani per la distruzione di in-
signi e famosi santuari della gentilità. Molti credono.,
che ciò sia avvenuto quando Ciliegio governò l'Oriente
dal 384 al 389 , e segnalò la sua prefettura coli'ester-
minio delle idolatriche divinità nell'Asia e nell'Egitto.
Ma Zosimo storico pagano narra soltanto , che quel
prefetto ebbe il mandato di chiudere, non di demolire
i templi pagani (5). Nè le leggi di Teodosio conservate
nel codice da me spesso citato parlano della decretata
rovina degli editici. Ciliegio fu onorato in Alessandria
della solenne dedicazione d'una statua AI) PET1TVM
PR1MORVM NOBILIVM \LE\ANDRINAE YRRIS : così
è inciso sulla base posta LOCO CELEBERRIMO (6).
La quale iscrizione riceve lume dalla lettera imperiale
ad senatores civitatis Alexandrinae, ove la provvidenza
e la giustizia di Ciliegio a tutela del senato di quella
grande metropoli sono commendate (7). Parmi adunque,
che rettamente Sozomeno (8) ed altri ritardino al 391
dopo la morte di Ciliegio i feroci tumulti dei pagani,
che misero sossopra Alessandria, e finirono con la di-
fi) Cod. Theod. XVI, IO, 3.
(2) Agrimensores, ed. Lachmann p. 8S.
(3) V. Bull. cit. p. 6, e il Gotofredo alla leggo 7 lib. XVI Ut. IO.
(4) Cod. Theod. 1. c. leg. 8.
(5) nist. IV, 37.
(6) Orelli n. 1139.
(7) V. Cod. Theod. X, 10, 19; ed ivi il commento del Gotofredo.
Sulla persona di Ciliegio vedi il Garzon, Ad Idatii chron. not. XI, p. 136.
(8) Hist. VII, 15,
struzione del tempio di Serapide ordinata da Teodo-
sio (1). Il tenore del rescritto teodosiano concedente
ai Cristiani la demolizione del Serapeo e di altri fa-
mosi santuari dell'idolatria in Egitto e nell' Oriente
dava la colpa di questo rigore alle crudeli violenze dei
gentili (2). E la massima che gli edifìci dei templi do-
vevano essere conservati durò anche sotto Teodosio
medesimo, sopra tutto in Occidente ed in Roma: e
s. Ambrogio nell'orazione funebre di quel principe in
Milano disse, che egli clausit tempia, non che destruxit.
Sotto Arcadio ed Onorio figliuoli di Teodosio e
zelantissimi-di abolire le ultime reliquie dell'idolatria
pure non fu dimenticato il canone, che gli edifici
ed i loro ornamenti dovevano essere serbali a decoro
delle città. Sicut sacrifìcia prohibemus, ita volumus pu-
blicorum operimi ornamenta servari sentenziò Onorio
nel 399 (3). Ed i vescovi adunati nella quinta sinodo
cartaginese in quel!'anno medesimo chiesero all'im-
peratore : Tempia, quae in agris in locis abditis cons-
tituta NVLLO ORNAMENTO SVNT, jubeantur omni-
modo destrui (4): nelle quali parole è manifesta l'al-
lusione alla massima stabilita di conservare i templi,
quae ornamento sunt. Ciò nulla ostante Onorio rispose:
Aedes inlicitis rebus vacuai (cioè spogliate delle are
e .dei simulacri superstiziosi). . . ne quis conetur ever-
tere. Decernimus enim, ut aedifeiorum sii integer sta-
tus (o). Però in quest'anno medesimo Arcadio ordinò la
demolizione degli agresti delubri nella Fenicia del Li-
bano : Si qua in agris tempia sunt, sine turba et tu-
multu diruantur : his enim dejectis atque sublatis omnis
superstitionis materia consumetur (6). Finalmente Onorio
nel 408 in Roma promulgò un editto per decretare,
che i templi posti nei fondi dei privati fossero distrutti,
ma aedificia ipsa templorum, quae in civitatibus vel
oppidis vel extra oppi da sunt, ad usura publicum vin-
dicentur; arac locis omnibus destruantur (7). Ed in fatti
nel bullettino di Gennajo 1863 ho dimostrato, che ap-
punto nell'anno 408, cioè poco prima dell'assedio di
Roma per Alarico, i templi dell'eterna città erano
chiusi, ma illesi.
Teodosio il giuniore, succeduto in Oriente ad Ar-
cadio, rescrissc nel 426 ai prefetto del pretorio del-
l'Illirico: fana, tempia, delubra, si qua etiam nunc
restarti integra, praecepto magistratum destrui, conlo-
cationeque venerandae christianae religionis signi ex-
piari praecipimus (8). Anche dalle parole di questo
decreto spicca, ciò che in tutto l'epilogo storico, che
(1) V. Gotofredo a! cod. Teod. I. c. leg. 11 ; e le note del Valesio
alla storia di Socrate V, 16 ; benché il Valesio sia di coloro che vogliono
attribuire a Cinegio la distruzione del Serapeo.
(2) V. Sozomeno, I. c.
(3) Cod. Theoi. XVI, IO, 15.
(4) Cod. can. eccles. afric. can. 58.
f5) Cod. Theod. I. c. leg. 18.
(6) Cod. Theod. XVI, IO, 16. Vedi i commenti del Gotofredo, che
prova questa legge spettare in guisa speciale alla Fenicia de! Libano.
(7) L. c. leg. 19.
(8) L. c. leg. 25. Cf. Teododoreti Hist. V, 37.
scarum sollemnitas voluptatum (1). Che se gli edifici
dovevano rimanere illesi, il privilegio non s'esten-
deva ai boschi sacri, che li circondavano; ed a questi
dee essere presto o tardi nel suburbano di Roma toc-
cata la sorte, che loro toccò nel resto d'Italia ; d'es-
sere cioè tagliati^ ed il suolo ridotto a cultura. Multi
(sono parole notissime dell'antico interpolatore del
trattato de limitibus agrorum) crescente religione sacra-
tissima Christiana templorum lucos profanos sive loca
occupaverunt et serunt (2).
Non verrò tenendo dietro passo per passo alla le-
gislazione diretta ad abolire l'idolatria. Da Costante
e da Costanzo a Teodosio quelle leggi furono quando
più quando meno, in Roma però sempre poco o nulla,
eseguite ; eccetto la confisca dei beni dei templi e la
remozione dell'ara della vittoria dalla curia del senato
ad ogni patto volute da Graziano nel 384 e dal suc-
cessore di lui Yalentiniano II mantenute (3). Teodosio
da principio fu mite verso i monumenti dell'antica
idolatria; e nel 382 dichiarò orrettizio un rescritto,
che aveva dato perchè un celeberrimo tempio, pare,
di Edessa pieno di simulacri fosse chiuso (4). Egli lo
volle aperto ali'uso dei cittadini, non però ad atti
religiosi nè a sacrifìci ; e ne volle conservati i si-
mulacri per il loro artistico pregio (simulacro, artis pre-
tto non divinitate metienda). Questa moderazione , che
manteneva sotto la cenere il fuoco non spento delle
vecchie are, poscia cedette il luogo a consigli più se-
veri. La storia di questi tempi risuona delle querele
di Libanio e d'altri pagani per la distruzione di in-
signi e famosi santuari della gentilità. Molti credono.,
che ciò sia avvenuto quando Ciliegio governò l'Oriente
dal 384 al 389 , e segnalò la sua prefettura coli'ester-
minio delle idolatriche divinità nell'Asia e nell'Egitto.
Ma Zosimo storico pagano narra soltanto , che quel
prefetto ebbe il mandato di chiudere, non di demolire
i templi pagani (5). Nè le leggi di Teodosio conservate
nel codice da me spesso citato parlano della decretata
rovina degli editici. Ciliegio fu onorato in Alessandria
della solenne dedicazione d'una statua AI) PET1TVM
PR1MORVM NOBILIVM \LE\ANDRINAE YRRIS : così
è inciso sulla base posta LOCO CELEBERRIMO (6).
La quale iscrizione riceve lume dalla lettera imperiale
ad senatores civitatis Alexandrinae, ove la provvidenza
e la giustizia di Ciliegio a tutela del senato di quella
grande metropoli sono commendate (7). Parmi adunque,
che rettamente Sozomeno (8) ed altri ritardino al 391
dopo la morte di Ciliegio i feroci tumulti dei pagani,
che misero sossopra Alessandria, e finirono con la di-
fi) Cod. Theod. XVI, IO, 3.
(2) Agrimensores, ed. Lachmann p. 8S.
(3) V. Bull. cit. p. 6, e il Gotofredo alla leggo 7 lib. XVI Ut. IO.
(4) Cod. Theod. 1. c. leg. 8.
(5) nist. IV, 37.
(6) Orelli n. 1139.
(7) V. Cod. Theod. X, 10, 19; ed ivi il commento del Gotofredo.
Sulla persona di Ciliegio vedi il Garzon, Ad Idatii chron. not. XI, p. 136.
(8) Hist. VII, 15,
struzione del tempio di Serapide ordinata da Teodo-
sio (1). Il tenore del rescritto teodosiano concedente
ai Cristiani la demolizione del Serapeo e di altri fa-
mosi santuari dell'idolatria in Egitto e nell' Oriente
dava la colpa di questo rigore alle crudeli violenze dei
gentili (2). E la massima che gli edifìci dei templi do-
vevano essere conservati durò anche sotto Teodosio
medesimo, sopra tutto in Occidente ed in Roma: e
s. Ambrogio nell'orazione funebre di quel principe in
Milano disse, che egli clausit tempia, non che destruxit.
Sotto Arcadio ed Onorio figliuoli di Teodosio e
zelantissimi-di abolire le ultime reliquie dell'idolatria
pure non fu dimenticato il canone, che gli edifici
ed i loro ornamenti dovevano essere serbali a decoro
delle città. Sicut sacrifìcia prohibemus, ita volumus pu-
blicorum operimi ornamenta servari sentenziò Onorio
nel 399 (3). Ed i vescovi adunati nella quinta sinodo
cartaginese in quel!'anno medesimo chiesero all'im-
peratore : Tempia, quae in agris in locis abditis cons-
tituta NVLLO ORNAMENTO SVNT, jubeantur omni-
modo destrui (4): nelle quali parole è manifesta l'al-
lusione alla massima stabilita di conservare i templi,
quae ornamento sunt. Ciò nulla ostante Onorio rispose:
Aedes inlicitis rebus vacuai (cioè spogliate delle are
e .dei simulacri superstiziosi). . . ne quis conetur ever-
tere. Decernimus enim, ut aedifeiorum sii integer sta-
tus (o). Però in quest'anno medesimo Arcadio ordinò la
demolizione degli agresti delubri nella Fenicia del Li-
bano : Si qua in agris tempia sunt, sine turba et tu-
multu diruantur : his enim dejectis atque sublatis omnis
superstitionis materia consumetur (6). Finalmente Onorio
nel 408 in Roma promulgò un editto per decretare,
che i templi posti nei fondi dei privati fossero distrutti,
ma aedificia ipsa templorum, quae in civitatibus vel
oppidis vel extra oppi da sunt, ad usura publicum vin-
dicentur; arac locis omnibus destruantur (7). Ed in fatti
nel bullettino di Gennajo 1863 ho dimostrato, che ap-
punto nell'anno 408, cioè poco prima dell'assedio di
Roma per Alarico, i templi dell'eterna città erano
chiusi, ma illesi.
Teodosio il giuniore, succeduto in Oriente ad Ar-
cadio, rescrissc nel 426 ai prefetto del pretorio del-
l'Illirico: fana, tempia, delubra, si qua etiam nunc
restarti integra, praecepto magistratum destrui, conlo-
cationeque venerandae christianae religionis signi ex-
piari praecipimus (8). Anche dalle parole di questo
decreto spicca, ciò che in tutto l'epilogo storico, che
(1) V. Gotofredo a! cod. Teod. I. c. leg. 11 ; e le note del Valesio
alla storia di Socrate V, 16 ; benché il Valesio sia di coloro che vogliono
attribuire a Cinegio la distruzione del Serapeo.
(2) V. Sozomeno, I. c.
(3) Cod. Theoi. XVI, IO, 15.
(4) Cod. can. eccles. afric. can. 58.
f5) Cod. Theod. I. c. leg. 18.
(6) Cod. Theod. XVI, IO, 16. Vedi i commenti del Gotofredo, che
prova questa legge spettare in guisa speciale alla Fenicia de! Libano.
(7) L. c. leg. 19.
(8) L. c. leg. 25. Cf. Teododoreti Hist. V, 37.