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Bullettino archeologico Napoletano — N.S.6.1857-1858

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Nr. 133 (Gennaio 1858)
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https://doi.org/10.11588/diglit.12305#0074
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_ 06 —

moria, come sarebbe iMrp&, [t,vtp.iiov, o altra somi-
gliante parola. Certo si è che un bellissimo confronto
a noi si porge dalla sopra citata iscrizione Sigea, la
quale comincia allo stesso modo

<&ANOAìKO EMI TO EPMOKPATEOS

Questo confronto riesce altresì importante, perchè
troviamo nella funebre epigrafe di Democaride ado-
perato il jonico EMI, non altrimenti che nell' attica
epigrafe trovasi in confronto al più recente dialetto,
che ci offre la forma E1MI ( vedi Franz elem. ep. gr.
p. 77 seg. e Boeckh corp. inscr. gr. p. 16 s.) : altro
riscontro al jonismo di Cuma, da aggiungersi a quelli
che vennero da noi richiamati a proposilo della epi-
grafe di Crilobule. E lo stesso nome Ar^óxpLpis ac-
cenna egualmente ad atticismo ovvero a jonismo. Il
to per rov è comunissimo presso gli Attici nella loro
più antica maniera di scrivere, come si raccoglie da
numerosissimi esempli: ed è da ricordare che questa
medesima paleografla attentamente serbossi da Erode
Attico nelle iscrizioni triopee, nelle quali non vedesi
giammai il dittongo ov. Su di ciò si vegga ciò che ha
osservato l'insigne Glologo di Berlino ( Boeckh corp.
inscr. gr. pag. 43). Da questi esempli vien confer-
mala ed appoggiata la intelligenza della voce KPITO-
BOUESper KpirojiovXrfi. Comunque sia, noi rilenia-
mo che la nuova epigrafe Cumana vada piuttosto in-
terpetrata : A*)jxox*'p$oS s'f*' fò impaci Io sono la se-
2ìolcraìe memoria di Democaride.

Nell'uno e nell'altro caso però la nostra epigrafe ci
addita l'uso del genitivo nelle più antiche memorie se-
polcrali; giacché nel primo sarebbe un sicuro esem-
pio , e nel secondo presentandosi espressa la voce
onde quel genitivo dipende, dimostrerebbesi la cer-
tezza di una ellissi, allorché trovasi il genitivo iso-
lato : e perciò ci additerebbe qual sustantivo debba
supplirsi nell' altra cumana epigrafe contemporanea
KpinrofcovXrf {xvìjxa. o altro simile nome. Noi aveva-
mo non pocbi esempli, che ci offrono il nome dei-
defunto al genilivo ne' secoli posteriori. Possono ci-
tarsi, fralle attiche iscrizioni, la epigrafe di Arislofosa
(Corp. inscr. gr. n. 921), quella di Demetrio e forse
di Slrombico, ove però quei genitivi si riferiscono alle

scolpite figure ; non chela sepolcrale colonnetta di E-
varesle (ih. n. 945). Il Caylus riportò una iscrizione,
ch'egli attribuiva a Milziade ; ma ha bene osservato
il Boeckh che i caratteri ne sono assai moderni, e
che perciò non debba attribuirsi alla epigrafe quella
alla anlichità , che erroneamente le venne assegnata.
Giudicò pertanto il dotto filologo che quella epigra-
fe fosse slata posteriormente collocata presso al mo-
numento di Milziade , o che si riferisca ad un omo-
nimo di quel gran capitano ( ib. n. 972 ). Biescono
più importanti al nostro proposito due altri esempli,
che per la loro semplicità , non contenendo che il
solo nome, meritano di essere qui richiamati. L'uno
è un cippo marmoreo del real museo di Berlino, ove
è incisa la sola voce AOKIMO, nella quale noi rav-
visiamo un genitivo attico in luogo di AOKIMOT ,
non sembrandoci da ammettere il AOKIMOS colla
mancanza della finale ( ib. n. 940 ). Ma il principa-
le esempio è quello che ci fornisce la epigrafe di una
funebre stele rinvenuta dal Geli in Atene ( ib. n.
957 ) , e pubblicala dallo Stackelberg ( die Gr. der
Hellenen tav. VI ). Leggesi in essa il nome al geni-
livo ^ONAOSB® : e 1' arcaica forma de'caratteri , la
disposizione retrograda , e 1' assenza delle vocali lun-
ghe, dimostrano come ad alta antichità appartenga
quell' attica stele. Sicché queste iscrizioni di epoche
diverse già pria conosciute si rannodano alle due an-
tichissime di Cuma da noi pubblicate ; e ne sorge la
dottrina che da' più remoti (empi sino a' meno anti-
chi fu costume de' Greci segnare sulle tombe il nome
de' defunti al genilivo, non altrimenti che già conosce-
vasi, per vetustissimi e recenti sepolcrali monumen-
ti, adoperarsi del pari il nominativo. E qui mi piace
di fare un'avvertenza. Narra Pausania che i Cumani
serbavano nel tempio di Apollo un vaso di pietra non
molto grande, ove dicevano contenersi le ossa della
Sibilla ; ed aggiunge che in tempi posteriori vi si era
segnata la epigrafe indicante il nome di Demo ; fan—
yf:x/vprJ §s x.où ucrrspov rrfi Ar^xod? (lib. X cap. XIII).
Or se troviamo in Cuma il sistema del genitivo, come
apparisce dalle epigrafi di Crilobule e di Democari-
de, dovrà giudicarsi probabile che nello stesso caso
fosse segnato in quell' urna il nome della Sibilla.
 
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