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Bullettino archeologico Napoletano — N.S.7.1858-1859

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Nr. 164 (Marzo 1859)
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https://doi.org/10.11588/diglit.12306#0116
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— 106 —

benché fosse cosa del tutto arbitraria Io specificare
ciascuna di cotali dee, polrebbesi, cionondimeno, di-
stinguere quella, ch’elevasi a volo, col nome di Ta-
lia, eh’è come dire la verdeggiante, a motivo del ra-
mo ch’ella recasi nelle mani. E ci è pur dato di chia-
mare Erato 1’ altra giovane ed avvenevole donna che
pulsa la cetra, sì perchè colai istrumento fu ordinario
suo distintivo (1) , e sì ancora perchè , ad accompa-
gnare il mesto canto per la morte dello amatissimo
consorte di Venere doveasi scegliere quella tra le Muse
eh’ ebbe nome dall’ amore.
Non fa certamente mestieri essere Edipo per avve-
dersi che nella parte superiore della vasta nostra pit-
tura sia rappresentato il litigio fra Venere e Proser-
pina pel possesso di Adone. Ma s’è agevole a cono-
scere l’argomento di questo quadro, arduo, all’op-
posto, riesce il dichiararne taluni particolari.
Debbo , a tal uopo, qui addurre il luogo classico
sull’accennata contesa ; vò dire della testimonianza,
a ciò relativa , di Paniasi, la qual’ è, a mio parere,
unica base alla retta interpelrazione di questo secon-
dario dipinto : Venere, ansiosa per Adone, mentr’ era
ancora bambino (I<r< v-faricv), e volendolo nascondere,
a cagione della sua esimia bellezza, agli sguardi delle
altre deità, lo racchiuse in una cassetta e lo affidò a
Proserpina. Costei, poi che l'ebbe veduto, noi volle re-
stituire. Allora Giove, fallo arbitro della lite, divise
V anno in tre porzioni, e statuì che la prima di esse
restasse in libertà di Adone, e che dovess’ egli passare
la seconda con Proserpina, e l'ultima con A frodile
Or, avendosi presente, quando contemplasi il no-
stro quadro, sì fatta tradizione, non si esiterà, cred’io,
a convenir meco che in quella maestosa figura, la
quale protende verso Giove un ramo, come faceasi
dai supplici (3), ed ha daccanto una cista, sia ritratta
Proserpina che serba tuttora l’affidatale umetta e sup-
plichevole chiede il contrastato fanciullo. Nè mancherà
(1) Millin, Gal. Myth., pp. 15 e 17.
(2) V. Panyasidis Halicarnassei fragmenta edita a Tzschir-
nero, Vratisl. 1842, pp 49 e 50, ed Apollod., I. c.
(3) In riguardo a questo ramo, che usarono recarsi in mano i
supplici e perciò detto 'zsrigpios xXwSos, sono da consultarsi t’eru-
dite osservazioni d’Ilgen nei suoi Opusc. philolog-, t. I. p. 135.

la costui effigie, qualora gli si vorrà attribuire quella
del putto che attiensi allo scettro di Giove.
Prostrata innanzi all’olimpico Irono, erge Afrodite
la destra, implorando che le sia restituito il contesole
ragazzo, e nel medesimo tempo slrignesi al seno il suo
alato figliuolo. Questo pregevole gruppo chiarisce
perfettamente due cospicue figure, non peranco spie-
gate , del già memorato vaso di Amati. Osservasi, di
fatti, in quello importante avanzo delle arti greche,
una muliebre figura eh’ è ai piedi di Giove e vivamente
lo prega, tenendo abbracciato al petto un fanciullo ,
appunto come veggiamo qui Afrodile. Che se man-
cano le ali ad Amore e gli è stranamente adattala una
veste talare, ne hanno colpa di certo i cattivi restau-
ri. Diversano solo i due gruppi nello atteggiamento e
nella posizione della dea: giacché nel nostro vaso ella
è genuflessa, laddove in quello di Amati è posta a se-
dere ; ed invece di alzare, come in questo dipinto, la
destra verso Giove, gli appresenta, da supplice, un
ramo (1), come fa, nell’ altra pittura , la sua rivale.
Lo intervento , poi, di Cerere nel nostro grafico
dramma vien dichiarato apertamente dal soggetto stesso
della rappresentanza, essendo ben naturale ch’ella si
rechi presso il saturnio monarca or eh’ egli sta per
giudicare tra la possente dea di Citerà e la sua diletta
figliuola. L’ unico attributo, che la distingue, si è la
mistica face, che le dà il carattere di ctonia od infera
deità (2).
Dietro a Cerere, siede Mercurio, aspettando, qual
messaggiero di Giove (3), eh’ egli pronunzii la ir-
revocabile sentenza per tosto pubblicarla dovunque.
Dell’altra faccia del vaso, la quale è pur di grande
importanza, ci riserbiamo parlare in altro nostro ar-
ticolo.
Filippo Gargallo-Grimaldi.
(1) Il Bruno, nel c. 1. del Bullet. arch. lo dice fiore; ma, dal
raffronto con l’analoga figura nell’ altro quadro, chiaramente risulta
eh’ esser debba un ramo.
(2) V. C.rcuzer, Symbol., Vili, 781, e Mcyer, 1. c., pp. 7 e 10.
Vi ha pure una speciale dissertazione di Eberl De Cerere chtonid,
Begiom., 182G, ma è lavoro puramente filologico e di scarso pro-
fitto alle archeologiche ricerche.
(3) Se di cosa notissima occorresse addurre testimonianze , po-
trebbesi citare , prescindendo delle più ovvie , quella che ci si ap-
presta dai vv. 407 e 408 dell’ Inno a Cerere di Omero.
 
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