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Bullettino archeologico Napoletano — N.S.7.1858-1859

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Nr. 164 (Marzo 1859)
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https://doi.org/10.11588/diglit.12306#0117
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— 107

Intorno ad alcuni dolii di terracotta rinvenuti vicino il
Sarno. Continuazione del n. 461.
5. Su di altro dolio Sarnese, non vi si vede, che
questa iscrizione con bollo su labbro
MAPVLEI
QVIETl
In altro dolio si legge un simile bollo :
M • PACCI HILARI ( HI mon. )
e sulla pancia scorgesi eseguita una piombatura come
nell’antecedente. L’esser posta l’iscrizione coi nomi al
genitivo ci fa ritenere, per quanto abbiamo detto e sta-
bilito con dotte autorità, che designasse il proprieta-
rio dell’officina. Quella di Faccio dovea esser dimoilo
riputata, poiché molte altre figuline ne portano il no-
me (1).
6. Due altri dolii sono di maggiore importanza, e
d’una intelligenza nelle loro iscrizioni che ci sconforta
per le note a doppio colore, cioè rosso e nero con
caratteri e nessi, e cifre incognite.
I. L’iscrizione di uno di questi due dolii fatta a pen-
nello solamente in rosso vedesi nell’ alto della pancia
vicino al labbro, ed è questa, come pure l’ha letta il
nostro eh. amico Cav. Minervini.
(mon)
PZOMOC *
Ora per venire ad una verisimile conghiettura di
questa interessante nota , debbo rammentare, come
gli antichi e Greci, e Romani, ed Itali, ed altri po-
poli fossero amanti del vin dolce, il che d’ ordinario
non riuscivano ad ottenere che per via della cottura
del mosto. Il quale riducendolo a metà chiamavano
defruto, e se ad un terzo, dicevano alcuni sapa, altri
siraeum, ed hepsema (2).
(1) Mommsen I. R. N. 6306 n. 82, 85; su di una patera di Creta
presso il Principe di S. Giorgio. Idem 6307, 29; al Salinello nel
Pretuziano n. 58.
(2) Per la predilezione del vino dolce Plin. XIV, VII. s. 9. e cap.

Ma, oltre a ciò, aveano anche il vezzo di rendere
odorosi i loro vini, aggiungendo sostanze aromatiche,
o frutta , o fiori od altro, che potessero dare al li-
quore il gusto e la soavità dell’ ambrosia e del netta-
re ; che pare non fosse stato diverso dalla murrina
preziosissima (I). Ei mi pare adunque che bene a
proposito venga a presentarcisi lo che leggia¬
mo in questo dolio , preceduto da P, per pensare,
che i manifatturieri del vino avessero praticato altret-
tanto, adoperando la rosa, per dare al liquore la soa-
ve fragranza di questo fiore delizioso, al quale ricorre
subito il pensiero pel P iniziale di 'Po&rnjS. Noi ve-
dremo più sotto indicate le pratiche ne’ labbri de’ do-
lii , ponendosi il croco, la mirra etc. nell’atto della
fermentazione del liquore.
Quindi io credo, che il P iniziale, come abbiam
supposto, di 'PoS’/ttjs, seguito da esprima il
vin colto rosalo. Imperocché lo include il senso
di un liquido cotto, e la sua derivazione vien da .
(bullio), da cui molti derivali, da cui sono espresse le
varie cose bollite e cotte ; onde Omero (2) adoperò
questo vocabolo per indicare l’ebollizione dell’acqua:
così vale anche decoquo presso Dioscoride ;
nè parmi difficile trarne, che lo accenni a mo-
sto collo, che sarebbero appunto il defruto, o la sa-
pa , ov’ eransi fatte fermentar le rose. E poiché la
jX s. 11 ; cfr. XIV 20. Athen. Epit. L. II. c. XXIV, Schweighaeuser;
ove Ippocrate, de Diaeta, dice che il vin dolce non offenda il ca-
po. Pel mosto colto, oltre Palladio, v. Coltimeli. XII. 21. Cat. n
r. cap. CVII, e altrove. Nel M. Borbonico una pittura mostra la
maniera di cuocere il mosto. Anche fra i Greci era in pregio il via
cotto, v. Ross Reisen in d. Pelopon.T. I. p. 14. Diod. Sicul., Ili,
61. ce ne assicura per gli Egizii, non meno che il Rosellini Mon.
Civ. Voi. I. P. II. p. 372. tav. XXXVIII. f. 3.
(1) Per questo con la legge Poslumia al tempo di Numa (Plin.
XIV, s. 14 ) c perchè costosissima , ne fu proibita F aspersione
su i roghi. La murrina non era che vin colto, cui venivano ag-
giunti aromi preziosi (Fest. s. v.). Varrone(R. R. I ) dice:anft-
quae mulieres majores natu bibebant loram, aut sapam , aut
defrutum, aut passim, quod vinum murrhinam Plautum ap-
pellare putant. E Plinio ( Lib. XIV , c. XIII, s. 15. Sillig) dice :
Lautissima apud prisco» vina erant myrrhae odore condita,
e reca Plauto, Dossenno, Scevola, ed altri. L1 2 ambrosia non
che un fiore odoroso, che vuoisi fosse stalo il giglio ( Athen. XV.
c. XXXII), con cui la bevanda era formala, che ridonava F im-
mortalità agli Dei.
(2) Iliad. (D v. 365: '£7$ tov xaXà pssOoa (pXsysTo r
 
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