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Bullettino archeologico Napoletano — N.S.7.1858-1859

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Nr. 164 (Marzo 1859)
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https://doi.org/10.11588/diglit.12306#0120
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110 —

ministratoli, onde potersi verificare ; e forse pure
tutte le altre eventualità relative all’ epoca della ma-
nifatturazione del vino, alle sue specialità e squisitez-
za, donativi, consolati etc. La pittura Egizia vale per-
tanto quanto un trattato su tal materia, che le mon-
che o scarse opere de’ nostri rustici non ci hanno tra-
mandalo su questi sì speciosi particolari della vita do-
mestica, e dell’economia industriale de’nostri antichi
popoli, e di altre regioni, poiché sono appartenenti al-
l’economia di una civiltà comune fra essi. Infatti la
suggellatura delle anfore presso gli stessi Egizii (1) la
troviamo quasi identicamente adoperala presso gl Itali
antichi (2), di cui ho discorso ad occasione delle an-
fore suggellate rinvenute integre nella Cella Vinaria
di Caslrum-Novum nel Pretuziano.
8. Finalmente l’ultimo dolio, avente il labbro della
larga bocca rotto, ha sulla pancia graffite queste sigle:
V • R • LUI
che io amo spiegare per Vinum Rubrum nelle due
prime , e nelle note numeriche non mi pare desi-
gnarsi contenenza , ma numero d’ ordine del vaso,
cioè il 53.° Prescelgo questa interpetrazione per ischi-
vare tanto il meschinissimo numero di tre lagene,
cui potrebbe ricorrersi, quanto quello di urne 53,
od anfore, che in questo secondo caso sarebbero in-
compatibili con la capacità del vaso, che non è il più
grande. Ho adottalo parimenti per le due prime
sigle la interpetrazione di Vinum Rubrum, aiutalo
da quella dell’Avellino nell’anfora Pompeiana (3),
ove leggevasi dal dotto uomo Rubrum Velus Vesu-
vianum Vinum , ma che a me parve meglio, per
le ragioni nel ripetuto mio saggio arrecate, spiegare
Rubrum Velus Vinum, tenendo anche dietro ad un
pensiero dello stesso illustratore.
9. Dopo queste mie qualunque siansi illustrazioni
dei doliidei Sarno, non debbo tralasciare la menzione
de’ coverchi di essi, e di un resto di pece rinvenuto in
(1) Rosellini Non. Civ. t. I. P. IL p. 151 e p. 373 e seg.
(2) Dempstero Etr. reg. 1. p. 47. e seg. cfr. Horat. carm. 1.20
... graeca quod ego ipse testa —Conditimi levi etc.
(3) Bullett. Arch. Nap. ann. III. p. 84.

fondo ad alcuni, coni’è riuscito osservare al mio eh.
amico Cav. Minervini. Or gli antichi dissero il co-
verchio operculum daoperire, chiudere con coverchio
le bocche grandi de’dolii ; quindi gli opercula gypsa-
la, picala, oblinila etc. I Greci l’appellarono
fxa , come ricavasi dal Polluce (1). Nè convien con-
fondere la chiusura de’ dolii con l’opercolo con la
chiusura a suggello delle anfore. Per queste ado-
peravasi tutt’ altra maniera di chiusura, diversa da
quella de’grandi vasi; nè a’dolii conviene l’espres-
sione di Petronio (2) di diligenler gypsatae, la qual
cosa costituisce il suggello con soprascrizione su la
stretta bocca delle anfore. Come eziandio son di-
verse dalla suggellatura col gesso le piltacia, notae,
tesserae, grammalicae lilerae eie. (3); perciocché Pe-
tronio (4) c’ impara essere state siffatte cose papiri,
od altra materia, che attaccavansi al collo, o al corpo
dell’anfora o d’altro vaso, specialmente vitreo (5) ;
le quali erano ad/ìxae giusta il citalo scrittore, e
come abbiam cennato con Plauto , ed altri, in cui
erano segnate le particolarità riguardanti il vino : e le
pittacia erano adoperale, secondo il detto Petronio,
nelle seconde mense, ove facevansi girare in una
patera, per leggervi i nomi de’bellarii etc. (6). Il
metodo poi per la chiusura de’ dolii era ben altro,
imperocché tali vasi o infossati nella terra, o dispo-
sti , come abbiam detto, nelle Celle Vinarie, o nelle
apoteche e riempiuti di vino o meglio di mosto, eran
chiusi con coverchi, ed eran chiusi non definitiva-
mente, nè con chiusura si salda come le anfore ; onde
leggiamo in Columella (7) ed in Catone (8) opercu-
lum in dolium imponilo et oblinilo; ove Voblinilo è in
senso d’impiastratila o con gesso o con altra mate-
ria, ma in modo che pur traspirasse, come noteremo
(1) L. c. di sopra.
(2) Satyr. 134.
(3) Satyr. c. 56, 60, e 66.
(4) Erano i titoli del vino, onde Nota Faterm troviamo in Ora-
zio (lib. 1. Sat. 10 v. 24). Cfr. Giovenal. S. V 33 e seg.
(5) Morcelli de Stilo Inscript. t. 1. p. 425 edit. Patav. dice, al
si amphorae vitreae cssent, pittacia adglutinabant.
(6) Marini Frat. Arv. p. 578,579 ove le epule,che secondo Var-
rone L. L. IV p. 30, erano una escaria, e l’altra vinaria.
(7) XII 38 e 45.
(8) R. R. c. X. e XI; e CVII e CIV.
 
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