166 ARCHITETTURA GRECA IURTE IL
ossia la cornice dicevasi yuatm e ydaacoixx. Per la sicurezza poi vi erano le serrature, x&tò/aa, i catenacci, [xo-/Xà, le
chiavi, jtXsfóg, o *>$%$, ed altri ferramenti fatti a guisa di ghianda detti fixXxvxypxt. Si nomava poscia l'anello di
ferro, ossia la maniglia, iépeosn, e da Omero si disse iKpfsvigv. Le parti che si trovavano nell'ingresso e nell'uscita
delle case erano il vestibulo, TtpbBvpx, i propilei, nponvXxix, ed anche m>X£>vx e %pw«. L'abitazione poi dei portinaj si
diceva nuìdpm. Quindi vi era la parte anteriore della casa wp<%«$, e dell'atrio, npcxùXiov . La parte interna si co-
stituiva dell'area circondata da portici, caXn, che da Omero si crede essersi detta atSovaou. In detta parte interna
dopo il vestibolo vi era il peristilio, mpiaxuXov, ossia luogo separato dalle colonne che pure ttep&Bw dicevasi; impe-
rocché la colonna si distingueva tanto col nome ovJXog che xim. Gli Attici però nomavano mpiartm una parte di
esso portico, axox, ed anche con tal nome un lato di esso distinguevasi, come atea» in senso contrario , onde
tutto il giro veniva col suddetto nome designato. L'abitazione poi si componeva della parte anteriore della casa
npiùoiic^ della casa 9®p*f della piccola casa Sw/xcrasv, e del dormitorio xon-cóv, il qual nome da Menandro si reputava
barbaro, ma da Aristofane venne usato. 'Avfyòv era detta quella parte della casa in cui stavano gli uomini; e
quindi esedra, l§£ty«, dove s' intrattenevano a discorrere, Ivpnéaiov, dai conviti che in esso si facevano veniva
denominato, ed anche <nmhm. Il triclino, tpótXn*?, della casa si distingueva col nome ftwróànws, e Jawx&vos a se-
conda della sua grandezza e del numero de'letti xXmàv, che vi erano. Quindi il giniceo, ywatixtoiivtf, il talamo ,
Bxkxp.og, il tessitorio, lare», la casa del lanificio, TxXxaavpyog oìxoj, il luogo ove si macinavano i grani, aiTonoùybg. Poscia
«resta**» si diceva la cucina, ftetysqpeìev, ossiano botteghe, àno%yxi, destinate a contenere le provvisioni, rx'izìxg, i tesori,
5:axvpot, e di magazzeni, ovkxyrópix. Da Senofonte s'indicarono i tetti, ed il tetto di una casa, con arsyma, e arvfm,
perchè osservava lo stesso Polluce che aveva scritto Sax S'su S' h &ijtóx3u'vqa ^tf£h& ni-ptj e per designare i tetti frigidi
e caldi aveva detto, oxqmàya%màmi òitem&. Nel basso delle case vi stava il pavimento, Ite?; come nell'alto si
mostrava il fastigio, opo$t il tetto, urr/v?, il lacunare, bpoyn, ed il sottotetto, vnioxtyiv', ciò che stava nel tetto, aarqeni,
ed avanti il tetto, wtrowrsyev. Il lacunare ópops, ed il sotto lacunare vnsxpópiov ; dai quali nomi si compose vmpcapócptsy per
indicare ciò che vi era sopra il lacunare, ed òimpóftsy, ciò che vi era sotta al medesimo tetto. Ciò che stava tra il
lacunare óptyog, ed il tetto, axiyn, si diceva nxpapotpis, e così si diceva xiysg il tetto che stava sopra il lacunare, bpbyog.
Quella parte poi che sporgeva avanti per riparare la fabbrica dalle intemperie si diceva RpmyeV/Mrro. La parte
superiore della casa vrapewv si diceva, ed il doppio soffitto 8n|aj. Le parti provenienti dai soffitti sopra i muri infe-
riori si designano con ystamodìatxxtx^ed ove si ponevano i legni, £,vXx9 si diceva yminoàas. 'Apsi'^rsg poi erano i travi,
$DA«, nell'uno e nell'altro muro appoggiati, onde sorreggere la elevazione del mezzo superiore del lacunare (1).
Alcune altre denominazioni proprie delle parti componenti le case si rinvengono in altri scritti degli antichi, le
quali riferiremo allorché distintamente si esamineranno le medesime parti. Ora imprendendo a descrivrre tutto
ciò che spetta alle dette fabbriche private, cominceremo da quelle erette nelle più antiche età della Grecia, e
successivamente quelle edificate nei tempi posteriori.
(i) Misvj S' oiyixg, chAstog 9vpx, ww.x\x %px, xtx'ptOvpog, yr/'Ouvj-
pàg ipooSópov yxXsl. àg ci ncXXcì, jrXaryiov 5-jom. eìxx oòdèv, y.xì sàog
yxì tx r.ioì xàe %pxg fiipr). 5xipbg p.h, b oxpo<peò$ èvofu^èfiBfsg. axx9[xc£
Ss, t« stanipaQbi |uX« yxxx nXzvpòcv xà-j Svp&j, x yxì nxoxaxx^xg tpauriv,
avrà; te xxg Sfvpxg,"Otxvipog axviàxg xxXft. xb ffwffsp xuxxg, vnzp9vpov,yxl
vxzpOvptov. rè te Bpoùxpvxou ùmpSnìpov, % vn&p!ìvpiov,yéioaGV, mi y&taaofia.
Tx n zig awjw&sav,nXCtrpa, p^yXcì xXéìSsj.xXijrSss.xaj inifiXr,Tzg, -ucci
palscvcqpat, yxì bytìg. rcv te svoftoj£tf/xsvev ycpxrtx, xopcovijv "Oixypog yxXst.
'Etatsvxw te, npoQvpa, yxì npcwXxix- yxì xèv fxsv nvXSwx, yxì Svpava
yxXcvac tè te totj noX'j)poOwo? cc/.y]u.x, nvkixticv. sita, 7tpo9ofxa$, y.xì npoxv-
Xtov- yxì àuXvj xò rvSev, vj'v aBcvaxv "Ou-opog yxkù.
"EiTCt; §' xv tÌv ;rsf}KrruX«, xónav mpiyìovx. xx\ yxp arvlog, yxì x/sw òvo-
fxx^zrxt, xxrxSi roùg 'Attow);, mpiax^Tj.crcoàv 5c y.x\£i -zb p.ipog xj~:v. axoòt
y-xpzb nlzvpbv y.x\{ixxi. rt [xìv ro>yj-jri'jr,,yxì luì t« ha?JUX xixptTtrou.tsSwte
ohtav, r.pbfìouog, yxì 3%ia, xa; 5c>)u«tjov , x<zì Jtorrwv. I( y«o xa? McVoàtàpog
xurb [ixpfixpiybv ohrxt, xkX 'AptaxofzYfó tx toixvtix nunoTepog ùvtov h
AbX«ff(X»vj, K«t«v «»«at«s si?, ftusXsj $g /jtj'aapKsau.Xiys.xxi Ss xaì àySpoiv,
fax svvixaiv ot «vSf)ég. sTia s'^s'Jpa, fva avyyxQwTxt, tò oè uufuro'fftw sx
tou ^7»u ÒDoytatO[J.iv9V, yxì ovaaìxicv yxXiixxi. Xiyixea Se cìxc; Tpt'xXnwg,
bsvtóxXwoj, xaì SsjtaxXwos. xaì «nXfig npè$xè [isxpov xcv [xsyiOovg, b xSv
rXw<3v xpù[j.bg. ète yovoBM&v'tttiK, SffXa/Jtog, ìaxcóv- xxXxaicvpyóg di yog, «-
tojskI'x^S. tva ,a77 fivXavx , w? cux lvo-t)\xov , bvoaà^u[J.sv. sì xx ònxavtìov, ri
(txyetpitcw, spsìg, àg èmoOt/xai, xujiuoc, Syaxvpot, (pvXxyxyptx. Esvcpwv S^
xai" axsyavà , Y.xì axiyr,v àvópaazv , cvxcog hnàv ,'Oax S'cùS" Iv SsxoxXivsj
jxsyxXu axsysi. yxì ndXtv , 2T£7avà, évysivx, yxì àXisivx. KxXbìxa S' «v tò
jttiv uttc rei)? rceSag, sdayog. re S' Jrrsp tjjv xsfaXw, c^o;, cjrayvj, xaì Sjosyvj,
x«j vnbaxsyév xs, yxì xaxsyov, yxì yxxxaxsyov. bpofog, yxì viupfyea*. se, àv
xb vnspcùpóyiov, yxì vfiatpóepunt. xx Sé [j.sxxqù xcv bpbqcv.yxì xcu axsysvg, nx-
poxpcig. xb te vnspxva xsù ópbqov, xéyog. xx Ss bitlp xvxcu npovyovxrì, ùg
yxì xb\> cfxfiov xnsppvyscv, Ttpoxsyia[xxxx. sixx, vnspaa bix'np-XTX. tx $ xvtx,
y.xì ^t'op-rj. xì Ss npoBoXcd rav vnspóaiv òxjjaarov, xì insp Tovg yxTco rot/pug
npovXovoxi, ysiainotea[xxTx. yxì tx f'spovTX xvxàg^vXx, ysiohaSag. x\xii-
pGVTsg Ss hai, ìgvXx s£, syxxspvv tmv xo'v/jm xXXrìXoig xvxspzidó[xzvx, npbg xb
xoòg [xiaovg vdnjXoùs bpbfovg casyia SiìjwwSoa. (Pollile. Lib. I. e. 8.)
ossia la cornice dicevasi yuatm e ydaacoixx. Per la sicurezza poi vi erano le serrature, x&tò/aa, i catenacci, [xo-/Xà, le
chiavi, jtXsfóg, o *>$%$, ed altri ferramenti fatti a guisa di ghianda detti fixXxvxypxt. Si nomava poscia l'anello di
ferro, ossia la maniglia, iépeosn, e da Omero si disse iKpfsvigv. Le parti che si trovavano nell'ingresso e nell'uscita
delle case erano il vestibulo, TtpbBvpx, i propilei, nponvXxix, ed anche m>X£>vx e %pw«. L'abitazione poi dei portinaj si
diceva nuìdpm. Quindi vi era la parte anteriore della casa wp<%«$, e dell'atrio, npcxùXiov . La parte interna si co-
stituiva dell'area circondata da portici, caXn, che da Omero si crede essersi detta atSovaou. In detta parte interna
dopo il vestibolo vi era il peristilio, mpiaxuXov, ossia luogo separato dalle colonne che pure ttep&Bw dicevasi; impe-
rocché la colonna si distingueva tanto col nome ovJXog che xim. Gli Attici però nomavano mpiartm una parte di
esso portico, axox, ed anche con tal nome un lato di esso distinguevasi, come atea» in senso contrario , onde
tutto il giro veniva col suddetto nome designato. L'abitazione poi si componeva della parte anteriore della casa
npiùoiic^ della casa 9®p*f della piccola casa Sw/xcrasv, e del dormitorio xon-cóv, il qual nome da Menandro si reputava
barbaro, ma da Aristofane venne usato. 'Avfyòv era detta quella parte della casa in cui stavano gli uomini; e
quindi esedra, l§£ty«, dove s' intrattenevano a discorrere, Ivpnéaiov, dai conviti che in esso si facevano veniva
denominato, ed anche <nmhm. Il triclino, tpótXn*?, della casa si distingueva col nome ftwróànws, e Jawx&vos a se-
conda della sua grandezza e del numero de'letti xXmàv, che vi erano. Quindi il giniceo, ywatixtoiivtf, il talamo ,
Bxkxp.og, il tessitorio, lare», la casa del lanificio, TxXxaavpyog oìxoj, il luogo ove si macinavano i grani, aiTonoùybg. Poscia
«resta**» si diceva la cucina, ftetysqpeìev, ossiano botteghe, àno%yxi, destinate a contenere le provvisioni, rx'izìxg, i tesori,
5:axvpot, e di magazzeni, ovkxyrópix. Da Senofonte s'indicarono i tetti, ed il tetto di una casa, con arsyma, e arvfm,
perchè osservava lo stesso Polluce che aveva scritto Sax S'su S' h &ijtóx3u'vqa ^tf£h& ni-ptj e per designare i tetti frigidi
e caldi aveva detto, oxqmàya%màmi òitem&. Nel basso delle case vi stava il pavimento, Ite?; come nell'alto si
mostrava il fastigio, opo$t il tetto, urr/v?, il lacunare, bpoyn, ed il sottotetto, vnioxtyiv', ciò che stava nel tetto, aarqeni,
ed avanti il tetto, wtrowrsyev. Il lacunare ópops, ed il sotto lacunare vnsxpópiov ; dai quali nomi si compose vmpcapócptsy per
indicare ciò che vi era sopra il lacunare, ed òimpóftsy, ciò che vi era sotta al medesimo tetto. Ciò che stava tra il
lacunare óptyog, ed il tetto, axiyn, si diceva nxpapotpis, e così si diceva xiysg il tetto che stava sopra il lacunare, bpbyog.
Quella parte poi che sporgeva avanti per riparare la fabbrica dalle intemperie si diceva RpmyeV/Mrro. La parte
superiore della casa vrapewv si diceva, ed il doppio soffitto 8n|aj. Le parti provenienti dai soffitti sopra i muri infe-
riori si designano con ystamodìatxxtx^ed ove si ponevano i legni, £,vXx9 si diceva yminoàas. 'Apsi'^rsg poi erano i travi,
$DA«, nell'uno e nell'altro muro appoggiati, onde sorreggere la elevazione del mezzo superiore del lacunare (1).
Alcune altre denominazioni proprie delle parti componenti le case si rinvengono in altri scritti degli antichi, le
quali riferiremo allorché distintamente si esamineranno le medesime parti. Ora imprendendo a descrivrre tutto
ciò che spetta alle dette fabbriche private, cominceremo da quelle erette nelle più antiche età della Grecia, e
successivamente quelle edificate nei tempi posteriori.
(i) Misvj S' oiyixg, chAstog 9vpx, ww.x\x %px, xtx'ptOvpog, yr/'Ouvj-
pàg ipooSópov yxXsl. àg ci ncXXcì, jrXaryiov 5-jom. eìxx oòdèv, y.xì sàog
yxì tx r.ioì xàe %pxg fiipr). 5xipbg p.h, b oxpo<peò$ èvofu^èfiBfsg. axx9[xc£
Ss, t« stanipaQbi |uX« yxxx nXzvpòcv xà-j Svp&j, x yxì nxoxaxx^xg tpauriv,
avrà; te xxg Sfvpxg,"Otxvipog axviàxg xxXft. xb ffwffsp xuxxg, vnzp9vpov,yxl
vxzpOvptov. rè te Bpoùxpvxou ùmpSnìpov, % vn&p!ìvpiov,yéioaGV, mi y&taaofia.
Tx n zig awjw&sav,nXCtrpa, p^yXcì xXéìSsj.xXijrSss.xaj inifiXr,Tzg, -ucci
palscvcqpat, yxì bytìg. rcv te svoftoj£tf/xsvev ycpxrtx, xopcovijv "Oixypog yxXst.
'Etatsvxw te, npoQvpa, yxì npcwXxix- yxì xèv fxsv nvXSwx, yxì Svpava
yxXcvac tè te totj noX'j)poOwo? cc/.y]u.x, nvkixticv. sita, 7tpo9ofxa$, y.xì npoxv-
Xtov- yxì àuXvj xò rvSev, vj'v aBcvaxv "Ou-opog yxkù.
"EiTCt; §' xv tÌv ;rsf}KrruX«, xónav mpiyìovx. xx\ yxp arvlog, yxì x/sw òvo-
fxx^zrxt, xxrxSi roùg 'Attow);, mpiax^Tj.crcoàv 5c y.x\£i -zb p.ipog xj~:v. axoòt
y-xpzb nlzvpbv y.x\{ixxi. rt [xìv ro>yj-jri'jr,,yxì luì t« ha?JUX xixptTtrou.tsSwte
ohtav, r.pbfìouog, yxì 3%ia, xa; 5c>)u«tjov , x<zì Jtorrwv. I( y«o xa? McVoàtàpog
xurb [ixpfixpiybv ohrxt, xkX 'AptaxofzYfó tx toixvtix nunoTepog ùvtov h
AbX«ff(X»vj, K«t«v «»«at«s si?, ftusXsj $g /jtj'aapKsau.Xiys.xxi Ss xaì àySpoiv,
fax svvixaiv ot «vSf)ég. sTia s'^s'Jpa, fva avyyxQwTxt, tò oè uufuro'fftw sx
tou ^7»u ÒDoytatO[J.iv9V, yxì ovaaìxicv yxXiixxi. Xiyixea Se cìxc; Tpt'xXnwg,
bsvtóxXwoj, xaì SsjtaxXwos. xaì «nXfig npè$xè [isxpov xcv [xsyiOovg, b xSv
rXw<3v xpù[j.bg. ète yovoBM&v'tttiK, SffXa/Jtog, ìaxcóv- xxXxaicvpyóg di yog, «-
tojskI'x^S. tva ,a77 fivXavx , w? cux lvo-t)\xov , bvoaà^u[J.sv. sì xx ònxavtìov, ri
(txyetpitcw, spsìg, àg èmoOt/xai, xujiuoc, Syaxvpot, (pvXxyxyptx. Esvcpwv S^
xai" axsyavà , Y.xì axiyr,v àvópaazv , cvxcog hnàv ,'Oax S'cùS" Iv SsxoxXivsj
jxsyxXu axsysi. yxì ndXtv , 2T£7avà, évysivx, yxì àXisivx. KxXbìxa S' «v tò
jttiv uttc rei)? rceSag, sdayog. re S' Jrrsp tjjv xsfaXw, c^o;, cjrayvj, xaì Sjosyvj,
x«j vnbaxsyév xs, yxì xaxsyov, yxì yxxxaxsyov. bpofog, yxì viupfyea*. se, àv
xb vnspcùpóyiov, yxì vfiatpóepunt. xx Sé [j.sxxqù xcv bpbqcv.yxì xcu axsysvg, nx-
poxpcig. xb te vnspxva xsù ópbqov, xéyog. xx Ss bitlp xvxcu npovyovxrì, ùg
yxì xb\> cfxfiov xnsppvyscv, Ttpoxsyia[xxxx. sixx, vnspaa bix'np-XTX. tx $ xvtx,
y.xì ^t'op-rj. xì Ss npoBoXcd rav vnspóaiv òxjjaarov, xì insp Tovg yxTco rot/pug
npovXovoxi, ysiainotea[xxTx. yxì tx f'spovTX xvxàg^vXx, ysiohaSag. x\xii-
pGVTsg Ss hai, ìgvXx s£, syxxspvv tmv xo'v/jm xXXrìXoig xvxspzidó[xzvx, npbg xb
xoòg [xiaovg vdnjXoùs bpbfovg casyia SiìjwwSoa. (Pollile. Lib. I. e. 8.)