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LE ARTIGLIERIE ITALLANE DEL RINASCIMENTO 361
servigi il vicentino Basilio della Scola, uno dei più grandi architetti militari del suo tempo,
fortificatore di Rodi ed anche valente artigliere, come allora usava.
Tutto quanto si ebbe ad accennare risulta bensì dai documenti dell'epoca, ma non è
posto in rilievo, e neppure indicato, dai nostri scrittori, i quali, per la loro poca conoscenza
delle cose militari italiane, pare vengano in aiuto degli
storici stranieri quando questi vogliono impugnarci la Fig. i8a
priorità di qualche scoperta. Fu, ad esempio, ripetuto più fjjL J-y
volte da noi che i nomi di cannone", di colubrina, di
falcone, comuni in Francia sulla fine del secolo xv, non fnft
erano mai stati prima d'allora usati in Italia, e si volle
ravvisare in ciò e nella pretesa origine straniera di tali
voci un nuovo argomento a conferma dell' esclusivo
diritto della Francia ai progressi raggiunti dalle artiglierie
nella detta epoca. Si dimenticò in tal modo di tener conto
che cannone è voce italiana, e che in Italia sono mentovati
i cannoni in un documento che porta la data del 1326;
che la radice di colubrina è nel coluber, perchè ai primi
che fusero questa bocca da fuoco piacque di ornarla
colla testa di un serpente e che il suo nome, meno antico
bensì di quello del cannone, appare tuttavia in Italia nel
primo ventennio del xv secolo.
Lasciando il campo aperto alle indagini per rista-
bilire su dati non contestabili le vere condizioni delle
artiglierie italiane negli ultimi decenni del XV secolo,
basterà in questi ricordi accennare che documenti rico-
nosciuti come autentici accertano il rinnovamento com-
pleto, avvenuto sullo scorcio del secolo suddetto, delle
bocche da fuoco nei diversi Stati della penisola. In tale
epoca le artiglierie del genere bombarda sono già scom-
parse nel nostro paese, per cedere il posto ad altre di
minor calibro, più leggiere ma in pari tempo più ricche
di metallo, ed ogni anno aumenta la fabbricazione delle
nuove bocche da fuoco, sì nei grandi che nei piccoli
centri di governi locali.
Tra le artiglierie fabbricate in quel periodo si può
ricordare il falconetto di bronzo gettato nell'anno 1500
a munimento della Mirandola, per comando del signore
di detta città, Giovan Francesco Pico, secondo di questo Falconi parmensi del 1553
nome, che fu principe d'incontaminata condotta, gran-
demente stimato per dottrina e per libero e franco parlare. Un pregevole frammento
dell'accennata artiglieria è attualmente posseduto dal nostro Museo nazionale, e costituisce
una prova tuttora vivente dell'attività dei piccoli principi italiani del tempo nel rinnova-
mento delle bocche da fuoco.
Il frammento che si conserva nel Museo nazionale (fig. 15*) appartiene a quella parte
della bocca da fuoco che ora si chiama culatta, e ne sono prova l'iscrizione mutilata e lo
stemma del committente. E lungo millimetri 200, pesa circa 8 chilogrammi e la forma esterna
è a dieci facce. L'intiera bocca da fuoco doveva essere lunga metri 2.194, pesare chilo-
grammi 518 e tirare palle da libbre 3. Il suo diametro era perciò di millimetri 66. Nel
L'Arte. II, 47.
LE ARTIGLIERIE ITALLANE DEL RINASCIMENTO 361
servigi il vicentino Basilio della Scola, uno dei più grandi architetti militari del suo tempo,
fortificatore di Rodi ed anche valente artigliere, come allora usava.
Tutto quanto si ebbe ad accennare risulta bensì dai documenti dell'epoca, ma non è
posto in rilievo, e neppure indicato, dai nostri scrittori, i quali, per la loro poca conoscenza
delle cose militari italiane, pare vengano in aiuto degli
storici stranieri quando questi vogliono impugnarci la Fig. i8a
priorità di qualche scoperta. Fu, ad esempio, ripetuto più fjjL J-y
volte da noi che i nomi di cannone", di colubrina, di
falcone, comuni in Francia sulla fine del secolo xv, non fnft
erano mai stati prima d'allora usati in Italia, e si volle
ravvisare in ciò e nella pretesa origine straniera di tali
voci un nuovo argomento a conferma dell' esclusivo
diritto della Francia ai progressi raggiunti dalle artiglierie
nella detta epoca. Si dimenticò in tal modo di tener conto
che cannone è voce italiana, e che in Italia sono mentovati
i cannoni in un documento che porta la data del 1326;
che la radice di colubrina è nel coluber, perchè ai primi
che fusero questa bocca da fuoco piacque di ornarla
colla testa di un serpente e che il suo nome, meno antico
bensì di quello del cannone, appare tuttavia in Italia nel
primo ventennio del xv secolo.
Lasciando il campo aperto alle indagini per rista-
bilire su dati non contestabili le vere condizioni delle
artiglierie italiane negli ultimi decenni del XV secolo,
basterà in questi ricordi accennare che documenti rico-
nosciuti come autentici accertano il rinnovamento com-
pleto, avvenuto sullo scorcio del secolo suddetto, delle
bocche da fuoco nei diversi Stati della penisola. In tale
epoca le artiglierie del genere bombarda sono già scom-
parse nel nostro paese, per cedere il posto ad altre di
minor calibro, più leggiere ma in pari tempo più ricche
di metallo, ed ogni anno aumenta la fabbricazione delle
nuove bocche da fuoco, sì nei grandi che nei piccoli
centri di governi locali.
Tra le artiglierie fabbricate in quel periodo si può
ricordare il falconetto di bronzo gettato nell'anno 1500
a munimento della Mirandola, per comando del signore
di detta città, Giovan Francesco Pico, secondo di questo Falconi parmensi del 1553
nome, che fu principe d'incontaminata condotta, gran-
demente stimato per dottrina e per libero e franco parlare. Un pregevole frammento
dell'accennata artiglieria è attualmente posseduto dal nostro Museo nazionale, e costituisce
una prova tuttora vivente dell'attività dei piccoli principi italiani del tempo nel rinnova-
mento delle bocche da fuoco.
Il frammento che si conserva nel Museo nazionale (fig. 15*) appartiene a quella parte
della bocca da fuoco che ora si chiama culatta, e ne sono prova l'iscrizione mutilata e lo
stemma del committente. E lungo millimetri 200, pesa circa 8 chilogrammi e la forma esterna
è a dieci facce. L'intiera bocca da fuoco doveva essere lunga metri 2.194, pesare chilo-
grammi 518 e tirare palle da libbre 3. Il suo diametro era perciò di millimetri 66. Nel
L'Arte. II, 47.