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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 5.1902

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Fasc. 2
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Miscellanea
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https://doi.org/10.11588/diglit.24147#0228

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MISCELLANEA

vendo poi come fosse l’opinione dello Schmarsow cre-
duta probabile, per le stesse ragioni stilistiche, anche
dall’egregio De Fabrìczy, io, implicitamente, gli aveva
attribuito l’opinione che egli rivendica a sè nell’ùltimo
suo scritto pubblicato ne L’Arie, e che aveva già espressa
nel 1894.

Ed eccomi ora al più grave appunto che, su tale
proposito, mi vien fatto dal mio contradittore.

Nei suoi scritti, che si riferiscono al tabernacolo,
a me noti prima del nostro colloquio o venuti a co-
gnizione dopo, il De Fabriczy non aveva mai, è vero,
espresso l’opinione che io gli ho attribuito, scrivendo
che egli « ora (posteriormente a quegli scritti), in virtù
dei documenti pubblicati, è di parere che tutto il ta-
bernacolo sia opera dì Donatello, poiché non si abbia
notizia certa che questi, prima del 1425, già si fosse
associato nell’arte Michelozzo ». Ma, ciò asserendo,
non a quegli scritti io mi riferii, si al nostro colloquio,
del quale mi permetto di ricordare alcuni particolari
circostanze, non per contradire il mio interlocutore,
ma a schiarimento di quanto io scrissi.

Nel convegno avuto innanzi al tabernacolo, caduto
il ragionamento sui caratteri stilistici delle sue parti
ornative, io convenni con lui che soltanto le tré teste
della Trinità, le due figure nei triangoli mistilinei ai
lati della nicchia e i due mascheroni dell’imbasamento
rivelavano il fare di Donatello. E tale mio giudizio
era stato per lo innanzi più volte manifestato ad amici
comuni. In tutte le altre parti ornative io ravvisava
piuttosto il fare della scuola di Donatello e anche del
Michelozzi, massime nelle teste del fregio e nei due
putti che reggono la ghirlanda nell’imbasamento del
tabernacolo. E per confermare tali giudizi coll’esempio
prossimo di parti ornative scolpite dallo stesso Do-
natello, ci recammo a osservare quelle del taberna-
colo di San Giorgio.

All’attribuzione di quelle parti ornative al Miche-
lozzi non mi parve che il De Fabriczy fosse gran fatto
propenso, ma che insistesse piuttosto a riconoscervi
la mano di Donatello. Da ciò la mia conclusione che
egli allora crédesse il tabernacolo tutto di quest’ul-
timo artefice ; e in tale conclusione mi confermava
l’avere il De Fabriczy fatto per incidenza allusione al
non aversi notizia certa che prima del 1425 Donatello
e Michelozzo si fossero già associati nell’arte. A quanto
il De Fabriczy oppone a tale mia asserzione, citando
quel che della collaborazione dei due artisti nel ta-
bernacolo classico aveva scritto nel suo articolo pub-
blicato dall 'Annuario Prussiano, risponderò che io,
narrando del nostro colloquio, non poteva riferirmi
alla sua opinione espressa in quello scritto, poiché,
come ebbi a dichiarare a lui stesso e ho ripetuto
nel L’Arte, io non ne avessi allora cognizione.

Ad ogni modo, ora che il De Fabriczy tiene all’o-
pinione, da lui più volte manifestata, che nel taber-
nacolo Michelozzo cooperò con Donatello, quanto io

né scrissi in contrario sia per non scritto. E voglia il
dotto uomo avermi per iscusato se io, forse non per-
fettamente ricordandomi di quanto si disse nel nostro
convegno, gli ho attribuito un giudizio che al postutto
è il solo oramai che possa dirsi assolutamente vero.

Passerò sopra ad altri appunti, se più lievi, non
meno futili o erronei, premendomi di venire alla vera
questione che concerne precipuamente la controversia
se il tabernacolo sia del 1423 o del 1463.

Il De Fabriczy, forse credendo che gli bastasse di
avermi colto in fallo di erudizione critica con le sue
rettifiche, non si è curato di confutare le ragioni da
me invocate a sostegno della mia opinione. Io invece
prenderò in esame quelle invocate da lui a favore
della sua, certo nell’intima persuasione che sarebbero
valse a confutazione indiretta della mia.

In ordine alla tesi da me sostenuta che il taber-
nacolo non poteva essere del 1423, gli dirò che la ci-
tazione da lui fatta di tanti storici è proprio fuori di
luogo, poiché la testimonianza loro che poteva non
riferirsi, come infatti non si riferisce, al tabernacolo
del 1423, non aveva alcun valore, massime al con-
fronto del documento che ci dà notizia deH’allogagione
fatta a Donatello del tabernacolo per il San Lodovico
dalla parte Guelfa. Se io negava che quel documento
potesse riferirsi al tabernacolo ove ora è il gruppo del
Verrocchio, non è egli evidente che la testimonianza
unanime di tanti storici, mentre non poteva riferirsi
al tabernacolo del 1423, doveva invece riferirsi a quello
del 1463?

Ed è per me affatto incomprensibile come il De
Fabriczy abbia potuto dal contesto del mio scritto
indurre che io attribuissi il tabernacolo classico al
Verrocchio, mentre vi ho espressamente dichiarato
più di una volta che solo il sostegno del doppio or-
dine delle mensoline, conformandomi all'opinione dello
Schmarsow, è di quell’artefice. E non so pure come
il De Fabriczy abbia potuto indurre aver io negato
affatto che il tabernacolo fosse di Donatello, quando
invece mi sono limitato a provare che non poteva
essere quello da lui fatto nel 1423 per il San Lodo-
vico, e dhe doveva riportarsi al tempo in cui il pila-
stro d’Or San Michele fu dalla parte Guelfa ceduto
al Tribunale di Mercanzia. Nulla io ho asserito circa
l’autore del tabernacolo classico, avendo soltanto a
corredo della mia tesi, riferito le opinioni altrui. Qual
fosse allora la mia opinione sull’autore dèi Taberna-
colo era del resto facilmente inducibile, e dirò poi
quale sia.

Quanto alle altre due precipue ragioni dal De Fa-
briczy accampate per la data del 1423, a me pare che
sieno l’ima non bene invocata, l’altra non logicamente
dedotta.

La prima è fondata sull’affresco di Masaccio in
Santa Maria Novella. Il quale esempio viene dal De
Fabriczy invocato sull’autorità del dott. Bode, perchè,
 
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