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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 5.1902

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Fasc. 3
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Miscellanea
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https://doi.org/10.11588/diglit.24147#0385

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MISCELLANEA

337

artista, che per dar posto al nuovo suo tabernacolo do-
vette esser distrutto un’anteriore suo lavoro consimile?

Mi confesso pure reo di aver senza ragione suffi-
ciente imputato al mio critico l’attribuzione al Ver-
rocchio del tabernacolo esistente. Mi lasciai sedurre
dalle parole del suo primo articolo: 1 «frale ragioni
che m’indussero a oppugnare l’attribuzione del taber-
nacolo a Donatello, precipua era ecc. ecc. », e supposi

— siccome egli in seguito nulla asserì circa 1’ autore
di esso — ch’egli, visto l’eccellenza dell’opera, la cre-
desse del Verrocchio stesso. Ma come dissi, era una
supposizione erronea da parte mia.

Sull’analisi che il Marrai fa dell’affresco della Tri-
nità di Masaccio, per rifiutare il giudizio prima emesso
dal Bode, e dipoi da me adottato, riguardo al nesso
fra questa pittura e il tabernacolo di Or San Michele,
mi permetto le seguenti osservazioni. Pilastri scanel-
lati in opere dello stesso gotico, sia pure dell’epoca
di transizione — come pretende il mio critico — io non
conosco; gli sarei stato sommamente grato se avesse
voluto designarmene uno o l’altro esempio, invece di
contentarsi dell’asserire il fatto in generale. Che ca-
pitelli corinzii e ionici non fossero in uso prima del 1423,

— questo io non ho sostenuto ; anzi credo probabile
che per la forma dei suoi capitelli corinzii Masaccio
abbia potuto servirsi del modello di quelli nei pilastri
degli Innocenti, poiché essi nel 1422 erano già in es-
sere. Erronea è l’asserzione del Marrai che non consti
l’uso delle colonne tortili a Firenze anteriormente alla
metà del secolo xv. Al contrario citerò l’esempio del
tabernacolo di Bernardo Rossellino, eseguito nel 1436
per la Badia, e che oggi si trova nel Museo di South
Kensington,2 e l’altro, anteriore di due anni, delle
due edicole dei Santi Gregorio e Donato nella facciata
della Misericordia in Arezzo, dello stesso artista. In
quest’ultimo lavoro — sia detto fra parentesi — s’in-
contrano pure tutti gli elementi costitutivi del taber-
nacolo di Donatello: all’infuori delle colonne tortili la
nicchia a conchiglia, la trabeazione, il frontispizio riu-
niti in una composizione deliziosa di gusto squisito.
Dov’ è, dunque, la ragione per non ammettere che
un genio ben diversamente creatore dell’amabile autore
della Misericordia, dieci anni prima di lui non abbia
potuto concepire il tabernacolo del San Lodovico ?
Per tornare ora alle colonne tortili, Donatello ne prese
l’uso, senza dubbio, da esempi della scultura decora-
tiva romana, nella quale abbondano su cippi, taber-
nacoli, sarcofagi, e che egli nel suo soggiorno giova-
nile di Roma avrà non di rado incontrati. Ma non
bisognava neppure andare a Roma: nelle finestre e
nelle porte del duomo di Firenze simili colonne di
diverse forme gli si affacciavano quotidianamente.

1 Id., IV, pag. 349, col. 2, a capo della pagina.

2 Vedi la riproduzione nel mio studio sul maestro, nell'An-
nuario prussiano, 1900, pag. 44.

In quanto poi alle semplificazioni esistenti nell’af-
fresco al confronto del tabernacolo, come sarebbe la
mancanza della trabeazione, le colonne liscie, l’archi-
volto di modanature strettamente classiche, ecc., al
Bode e a me pure esse non paiono la conseguenza,
l’effetto dell’anteriorità dell’opera; ci paiono, invece,
dettate esclusivamente dal riguardo di serbarle intatto
tutto il suo carattere di austera monumentalità, richie-
sto dal sublime soggetto, nell’intento di non distrarre
l’attenzione di chi guarda da quest’ultimo coll’in-
quadrare la composizione figurale in una cornice di
forme decorative di ricchissima e squisitissima elabo-
razione. E, certo, non è necessario di rammentare al
proposito il gran danno che recò alla monumentalità
della pittura fiorentina il non attenersi a questo as-
sioma da parte dei maestri che succedettero al Ma-
saccio, principalmente Benozzo Gozzoli, Ghirlandaio,
Filippino Lippi e altri. Se finalmente le forme dell’ar-
chitettura presso Masaccio lasciano a desiderare in
quanto alle proporzioni ed ai particolari, ciò si deve
imputare al non essere egli stato architetto di profes-
sione, e di non aver potuto penetrare tutti i segreti
del nuovo stile che andava formandosi, e non si deve
invece, mettere a conto dell’evoluzione che farebbe
— secondo l’opinione del Marrai — molto distanziare,
per ordine di tempo, le forme del tabernacolo da quelle
dell’affresco.

Egli a favore di quest’ultimo fattore (dell’evoluzione,
cioè), invoca anche l’ordine del tempo, sostenendo
che non sia possibile riportare l’affresco a un anno
posteriore al 1424, termine — da lui supposto — del-
l’andata di Masaccio a Roma, mentre il tabernacolo
pel San Dodovico non fu compiuto prima del 1425.
Sono dolente di dovere contrapporre a queste date
altre che annullano le conclusioni tratte da quelle. Ma-
saccio fu registrato nel libro vecchio dell’Arte del 1424,1
e ci si sà che nel corso dell’anno 1426, fino al mese
di dicembre, dipingeva il quadro pel Carmine dì Pisa.2
È dunque escluso ch’egli si sia recato a Roma prima
del 1427, e all’opposto non è escluso — come « per
ordine di tempo » vorrebbe il dott. Marrai — ch’egli
abbia potuto giovarsi del tabernacolo di Or San Mi-
chele come modello. All’obbiezione possibile, infine,
ch’egli abbia potuto eseguire l’affresco prima del 1424
(in qual caso l’influenza del tabernacolo non sarebbe
più ammissibile) non ho da contrapporre se non il
giudizio unanime dei più competenti critici e storici
dell’arte, come il Cavalcasene, il Burckhardt, il Bode,
che tutti son d’accordo nel dichiararlo un’opera esimia
della maturità del maestro, eseguita negli ultimi suoi
anni, contemporaneamente o poco prima agli affreschi
della Cappella Brancacci.

E similmente mi duole di dover distruggere l’ar-

1 Vasari, II, 288, 11 1.

2 Tanfani, Donatello a Pisa, 1887, pag. 5 e 6
 
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