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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 19.1916

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Fasc. 3
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Fiocco, Giuseppe: I pittori da Santacroce
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https://doi.org/10.11588/diglit.17336#0225

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I PITTORI DA SANTACROCE

Accanto alle grandi maniere pittoriche che, a
principiare dalla seconda metà del Quattro-
cento, avevano dato a Venezia il primato del co-
lorire, e hanno il nome da Gentile e Giovanni Bel-
lini, da Alvise, dal Cima, dal Carpaccio, giù giù sino
a Giorgione, al Palma Vecchio, a Tiziano, visse
una sua strana vita parassitaria, attingendo ora
a l'una ora a l'altra tendenza, pili che una scuola
una famiglia d'artisti bergamaschi, vivace dalla
fine del xv secolo sino alla metà del Seicento,
stretta da legami di parentela o di paese, prove-
niente da un borgo oggi scomparso della valle
del Brembo, di fronte a S. Pellegrino, da cui prese
il nome: la pieve di Santa Croce.

Per la prima volta avveniva, inconsciamente
dapprima e con qualche indecisione o pretesa di
originalità, poi con piena coscienza dei propri
scopi, che dei pittori si specializzassero nel produr
dipinti per quella clientela mediocre che poco
capisce d'arte e che pur vuole il quadro condotto
secondo la moda del tempo, e lo vuole con poca
spesa; o si adattassero a combinar pale per le chiese
dei paeselli senza mecenati, dimenticate dall'arte,
del contado veneto, per le cittadelle dell'Istria,
a cui il Carpaccio aveva serbato tanta robaccia
sua e del suo poverissimo Benedetto, e ancora
per le più sperdute località e isole della Dalmazia.
Mediocre clientela, mediocri quadri, per i quali
bastò imitare e ricopiare dai tanti che arricchivano
la Dominante, raffazzonando con qualche gusto e
con buona pratica. Avvenne cioè per essi il con-
trario di quanto era capitato al Lotto, il quale solo
per il suo umor melanconico era andato in cerca
dei paesi romiti del bergamasco e delle Marche,
per regalarli delle sue opere incomprese e mal re-
tribuite. Furono una specie di sottoscuola, non
ingrata agli stessi grandi maestri, in (pianto po-
teva accontentare chi non meritava l'opera nuova,
anche perchè non voleva pagarla. Accomodevoli
cercarono ai loro tempi di soddisfare i committenti,
rozzi ma non per questo meno petulanti, a seconda
dei prezzi, a seconda dei gusti, e riescono oggi tut-
tavia, per la grande abilità imitativa, a ingannare
molti esperti, ai quali solo uno studio diligente dei

loro metodi può dare la chiave di certi dipinti enig-
matici, battezzati coi nomi più vari, da Giambel-
lino al Palma Vecchio, a Giorgione, al Mocetto,
a Gerolamo dei Libri, e persino come opere del
Correggio e di maestri fiamminghi. Abilità imita-
tiva nella (piale esaurirono tutte le non comuni
qualità di coloristi e di grati causeurS. Non falsifi-
catori però nel senso proprio della parola, come
poi furono nel Seicento il Vecchia e specialmente il
Caroselli, i pittori da Santacroce si possono piut-
tosto considerare come i primi per valore e per
tempo fra quei Madonneri che vissero a Venezia
una vita tanto lunga e tardigrada, mantenendo
cert'aria di famiglia facilmente riconoscibile in
chi lavora di pratica e si vale di tutto ciò che la
bottega può dare di disegni, di metodi e d'intona-
zione. E si notano sino al più tardo pittore da San-
tacroce, Pietro Paolo, i colori ceruli squillanti dei
monti, i cieli rigati che già appaiono nel primo
della scuola: Francesco di Simone, e certi temi,
che dopo esser stati ripetuti le cento volte, e in
modo sempre più bottegaio, non permettono al-
fine di pronunciare altro nome che non sia quello
generico di Santacroce.

Che diremo poi delle fonti a cui attinsero, da
Iacopo, Gentile e Giovanni Bellini al Mantegna,
Bissolo, Cima, Giorgione, Mocetto, Mabuse, o che
saccheggiarono come il Dùrer e Marcantonio
Raimondi ?

Ebbero anche un'insegna che fa qua e là capo-
lino nelle opere: il pappagallo. E quale avrebbe
potuto essere più appropriata? 1

1 C'onlusissime sono le notizie che i vecchi scrittori ei
hanno lasciato intorno ai maestri da Santacroce: C. Riuoi.fi
(Meraviglie dell'Arte, 1648) ci parla del solo Gerolamo, ed è
molto se nelle vecchie guide del Sansovino (1663) e del
Boschini (1674) si trova una qualche notizia di opere del
Rizzo. Nò lo Zanetti (1771), a cui s'attenne nelle Vite desìi
artisti bergamaschi il Tassi (1793-I), pur .cosi raffinato cono-
scitore sa gettar vera luce sul complesso argomento. Ad ogni
modo la sua giusta distinzione del Rizzo dal maestro Fran-
cesco di Simone, al pari di quella del Federici (1803) di
Gerolamo dal figlio Francesco avrebbe meritato migliore for-
 
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