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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 27.1924

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Fasc. 1
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Ortolani, Sergio: Coltura ed arte, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17344#0044

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i8

SERGIO ORTOLANI

dei centomila coincidono col bianco e col nero; non soltanto: è la singola nota toccata
col dito sul pianoforte, elemento fìsso d'una scala di gradazioni e di una famiglia di
accordi determinate e che nel caso nostro sono quelle della visione pittorica giorgionesca.
Noi diciamo « do diesis », « si bemolle », come diciamo « quel tono di rosso », quel « tono
di giallo » propri a Giorgione e secondo la maggiore o minore frequenza con cui li
troviamo nell'opera sua li chiamiamo, o no, «dominanti». Valore è la quantità d'ombra
o di luce contenuta nel tono, ovvero la relativa « quantità » sua rispetto a quelli vicini
che lo modificano e ne sono modificati. Esplichiamo la differenza.

È pacifico ormai che gli oggetti hanno un medio colore loro proprio astrattamente
isolabile come « locale », in quanto è pensato in modo generico (il garofano rosso il
cielo azzurro); ma se noi disponiamo in un piano alcuni oggetti, sotto una eguale illu-
minazione, tutte le loro tinte riceveranno un timbro, un accento che le accorderà
insieme (la «tonalità atmosferica» o quella delle «luci false»): questo è il loro comune
e reciproco « tono ». Ora l'occhio del pittore — e intendo senz'altro il suo spirito crea-
tore — ha rispetto alle infinite tinte possibili la funzione di scelta e di accordo che ha
l'atmosfera sui colori locali: solo che, mentre questi e quella possono in realtà variare
all'infinito, egli dispone invece d'una tavolozza tutta sua in cui giocano alcuni speciali
fra quei colori e quelle illuminazioni: è questo il suo mondo pittorico e questo è al tempo
stesso il linguaggio con cui egli sa esprimerlo. Quindi, parlando della visione colori-
stica veneta, non sarà proprio parlare di tono come di una sua precipua ricchezza: pit-
tura tonale è ogni pittura che sia tale, cioè qualcosa più che una strillante scacchiera
di tinte. Con questo non si vuol dire che in un certo senso tanti affreschi e tante tavole
toscane siano non-pittura, ma che essi sono piuttosto dei disegni mal colorati: magnifici
disegni tuttavia.

Continuiamo. Ognuno di quelli oggetti che disponemmo sul piano sotto una eguale
illuminazione, se pur monocromo si rileva per mezzo di chiari e scuri; però luce ed ombra
non sono in lui che variazioni dello stesso tono, cioè spostamenti del « valore » di esso,
entro la sua gamma cromatica e dentro la scala degli accordi formati con le altre tinte.
Ora avviciniamo o arretriamo questo piano con i suoi oggetti. Già Leonardo intese la
legge della prospettiva aerea, per cui, dato un certo volume d'aria frapposta, « il rapporto
tonale fra i colori diventa inversamente proporzionale all'oscurità del colore rispetto
all'aria » (L. Venturi). Cioè vediamo che i toni mutano non solo l'accordo fra i propri
chiari e i propri scuri, nonché quello con gli altri toni (valore), ma perfino la loro qualità
(risonanza o «altezza»), acquistando in sè il colore dell'atmosfera, o trasformandosi del
tutto o riducendosi infine al tono-base dell'orizzonte. Ciò avviene inoltre diversamente
per ogni oggetto, secondo la maggiore o minore « ricettibilità di lume » propria alle varie
materie che s'identificano con le superfici colorate. Ora come esprimerà il pittore questa
complessa realtà, ove, per semplificare, non si tiene conto di riflessi, trasparenze, sbat-
timenti, molteplicità e varietà di luci e altro? Egli darà alle ombre il valore di modula-
zione dello stesso tono, (ombre cromatiche), e farà un modo che i «colori locali» s'ac-
cordino secondo la particolare « nuance » della luce, a misura della proprietà che le loro
superfici hanno d'assorbirla o finanche di respingerla, variando i pigmenti, la grossezza
o radezza della pasta di colore, l'affittirsi o stendersi della pennellata, il gioco parallelo
o opposto dei « tratti » e dei « tocchi », a modo che mutano le materie da rappresentare
lisce e lucide o glabre e opache o granulose o scabre o morbide e sinuose ed altro, e te-
nendo conto della maggiore o minore quantità d'aria frapposta fra il primo piano e l'og-
getto medesimo. Questo, che Leonardo aveva compreso in parte, è quasi intero nel vo-
lume del Lomazzo, assai prima studiato quanto ora dimenticato, e ci si dimostra quale
realtà pittorica già propria dell'arte veneziana. Infatti tale ricerca cromatica operata sul
vivo delle pili sottili esperienze visive ci conduce a quella posizione naturalistica da
cui la pittura giorgionesca si svolgeva.
 
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