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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 27.1924

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https://doi.org/10.11588/diglit.17344#0065

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RECENSIONI

J. Folch I Torres, L'Alba de VAbat Biure (Annuari de
L'inslitut d'Estudis Catalani, Voi. VI, Barcellona, 1020).

Nel Museo Diocesano di Barcellona sono conservati al-
cuni frammenti di un prezioso camice medioevale, quello
dell'abate Raimondo Arnaldo di Biure, del monastero di
S. Cugat del Vallese. 11 direttore del museo, Folch i Torres,
illustra questi frammenti, tentandone la ricostruzione e la
classificazione, in un breve ma completo e interessantissimo
studio.

Il nome dell'abate Biure è avvolto nei veli d'una leggenda.
Egli fu assassinato a tradimento, dinanzi all'altare della sua
chiesa, la notte del Natale dell'anno 1350. Vari prodigi se-
guirono questa morte violenta, come si può leggere negli
atti del processo (Constitucions de Catalunya voi. Ili,
Ub. IX-lit. II). Uno, sopra tutti, è ricordato con insistenza:
il camice, che indossava l'abate nella notte fatale, rimase
macchiato di sangue e ogni tentativo per cancellare queste
macchie riuscì vano; esse sono indelebili. È naturale che la
tradizione d'un fatto così prodigioso facesse assumere alla
veste sacerdotale il carattere sacro d'una reliquia e a ciò
dobbiamo la sua conservazione. Parecchi scrittori infatti,
dal secolo XVIII in poi, ricordano nei loro scritti come nel
monastero di S. Cugat venisse gelosamente conservata que-
sta preziosa reliquia. Si tratta realmente di un raro e lus-
suoso esemplare d'indumento liturgico medioevale, a cui è
legato, oltre il pregio artistico, un notevole interesse storico.

Una nitida fotografia ci mostra il camice, di bianca tela di
lino, com'è allo stato attuale; molto rovinato, esso presenta
Però ancora visibili le tracce di sangue e i fori prodotti dalle
pugnalate.

Ma quello che allo studio del Folch i Torres più interessa
sono gli ornamenti della veste, che si trovavano sulle spalle,
in basso, nella parte anteriore e posteriore e, probabilmente,
anche in fondo alle maniche. Le tracce dei punti che li cu-
civano alla tela ci indicano chiaramente la loro posizione e
le loro dimensioni, ma i tessuti degli ornati furono asportati
e venduti nel secolo xix ad alcuni antiquari e collezionisti
Privati.

II muse.i di Barcellona ne possiede due frammenti. Degli
altri, esistenti nei musei di Brusselle, di Amsterdam, a Lione,
nella collezione Còte, e a Barcellona, nella collezione C'abot,
l'Autore raccoglie le fotografìe. Così, dal confronto tra
vari frammenti, si viene ricostruendo l'intera decorazione
<Jel camice. Essa consisteva in strisce di stoffa tessuta a
fili d'oro e di seta multicolore, a punto tappezzeria (detto
anche dagli studiosi dell'arte tessile, genere gobelin) appli-
cate sulla veste. La ricostruzione dell'ornato, integrata da

una bella tricromia, ci mostra un graziosissimo disegno di
strani arabeschi e d'uccelli stilizzati, con penne variopinte,
su tondo d'oro.

Il camice rientra quindi nella serie di quelli citati nei do-
cumenti dei secoli xm-xiv e xv. Albas quorum parure,
sunt de rubeo samito cubi ymaginibus, clavibus et rosis».
« de rubeo veluto cnm ymaginibus et arbori bus argento deau-
rato » c Albes amb temes de figures en els paraments, i ab
guarniment d'arabesc ». Questa serie si estende dal secolo x
al xiv. Quanto all'epoca del camice l'A. lo ritiene anteriore
di alcuni anni alla morte dell'Abate e lo colloca tra i secoli
xiii e xiv. I tessuti degli ornati sulle spalle, però, con tutta
probabilità, sono più antichi e dovevano appartenere a
qualche prezioso tessuto, e così pure quelli delle parti infe-
riori. Questi ultimi mancano di classificazione e sono affatto
sconosciuti nei cataloghi degli esemplari tessili. L'A. giusta-
mente li ritiene dello stesso genere di quelli delle spalle.

Con molta precisione egli passa poi a esaminare le diverse
classificazioni e datazioni che di questi frammenti già noti
danno il Dreger, il Cox, il Desteve, il Venturi, l'Errerà e il
Lessing. Prescindendo da quelle del Desteve e del Venturi,
che si occupano del tessuto in questione l'uno in un breve
articolo e l'altro solo incidentalmente, l'A. si ferma al Les-
sing e all'Errerà, che ritengono il tessuto arabo, dei secoli
x-xi. È giusto osservare che la classificazione arabo è troppo
generica e appena iniziale, tanto è vero che, procedendo
nell'analisi, i due autori non s'accordano più sull'origine del
tessuto.

11 Cox (I.es Soierics d'Art, Paris, 1915), lo giudica d'origine
spagnola, basandosi sul fatto che fu trovato in Ispagna,
paese, nel medio evo, isolato e alieno da contatti col mondo
orientale. Il Folch i Torres, pur riconoscendo l'indiscutibile
competenza del Cox in questo campo, trova poca esatta la
sua classificazione. Infatti sono noti a tutti i rapporti che
legarono la Spagna, e specie la Catalogna, ai popoli d'oriente.

Venendo infine al Dreger, incerto tra la derivazione egi-
ziana e la siciliana, l'A. afferma essere indiscutibile l'origine
egiziana, sia per la tecnica del tessuto che per i suoi caratteri
ornamentali. Lo si può quindi collocare in una serie arabica
che va dal periodo copto-arabico (secoli vn-x) al periodo
culminante dell'arte mussulmana, nei secoli xii-xin. In-
teressante è l'identificazione di questa serie, suddivisa a
sua volta in tre categorie, i cui esemplari sono tutti eseguiti
a punto gobelin, punto sicuramente derivato dall'antica arte
copta.

Alcuni esemplari della prima categoria, considerati per
lo più come opere spagnole, sono dall'A. rivendicati, con
 
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