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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 27.1924

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Fasc. 2
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Moschini, Vittorio: Giaquinto artista rappresentativo della pittura barocca tarda a Roma
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Giaquinto artista rappresentativo
della pittura barocca tarda a Roma

Quando si pensi al vigoroso fiorire dell'arte ba-
rocca in Roma nel pieno Seicento, in particolar modo
durante i pontificati di Urbano Vili, Innocenzo X
ed Alessandro VII, nell'età del Bernini e dell'Al-
gardi, del Borromini e di Pietro da Cortona, si sen-
tirà in modo assai vivo l'esaurimento artistico della
fine del secolo e verrà fatto di chiederci se dal più
trionfale periodo di quell'arte si passi gradata-
mente al movimento neoclassico della seconda metà
del Settecento senza che nel grigio mondo dell'ac-
cademismo romano splendano ormai se non lontani
riflessi della grande arte barocca ancora nel suo
pieno rigoglio a Genova, a Napoli, e sopratutto, a
Venezia.

Due termini possiamo porre allo studio delle ul-
time manifestazioni del barocco a Roma nella prima
metà del Settecento: marattismo, neoclassicismo.

Se un limite che si pone non può veramente es-
ser tale se non se ne spiega il valore, se non lo si de-
termina con una definizione per quanto sommaria,
si comprenderà che occorre chiarire che cosa si
vuole qui intendere per marattismo e per neoclas-
sicismo.

Venuti a mancare nell'ultimo Seicento i maggiori
artisti di quello che possiamo chiamare movimento
barocco romano, la fine di quel secolo fu dominata
dal Maratti, che non a caso aveva trovato il suo
panegirista nel Bellori antiquario e già neoclassico.
Non che si debba veramente credere all'interpreta-
zione che il Bellori dà dell'arte del Maratti: molto
più fu il biografo a sentire in quell'arte una restau-
razione delle leggi del disegno e della bella armonia.
Ma è certo che, se anche il Maratti non fu quel rivo-
luzionario alla rovescia che ci si vorrebbe far cre-
dere e fu certamente assai legato alla tradizione pit-
torica precedente, la sua pittura non fu più d'estro
e di colore, ma accademica e di studio. In tal sen-
so egli si riconnette alla tradizione bolognese, e non
solo per quello che aveva potuto apprendere allo
studio del Sacchi suo maestro, ma anche per una
più diretta derivazione, ed il correggismo ed il raf-
f aellismo di tante sue opere sembrano sentiti da un
tardo continuatore della scuola carraccesca, tanto
è lisciato e accademico, reso con studiata accura-

tezza quel poco che il Maratti aveva potuto appren-
dere studiando le opere di Raffaello e del Correggio.
Se egli si rifece poi tante volte a tipi ed a schemi
compositivi dei pittori del più vivace Seicento
(tanto da dare, a volte, impressione d'eclettismo)
accademizzò quei tipi e quegli schemi e fece opera
la più opposta che vi potesse essere al loro signi-
ficato originario.

Con questo si vogliono solo notare le intime ten-
denze antisecentiste del Maratti, anche se assai
spesso manifestate in una forma puramente nega-
tiva, considerando complessivamente il significato
della sua opera, senza aver però la pretesa di
chiudere in una formula la sua arte che ha il suo
valore appunto in poche n a bellissime eccezioni.

In un altro ambiente il fenomeno Maratti avreb-
be potuto, per quanto sintomatico, esser la crisi di
un individuo, ma non già a Roma, ove anche nel
periodo del più vivace Seicento avevamo avuto
chiare prove del permanere di una corrente a ten-
denze tutt'altro che barocche. È noto, infatti, che
se nella maniera del Sacchi non si può certo vedere
del vero e proprio disegno, tanto le sue tele sono
veramente dipinte e splendono i chiari campi del
colore neo-veneziano, la sintetica concisione delle
sue forme (tanto da poterlo, a volte, pensare una
specie di Poussin romano), il suo senso dell'arte
come risultato di studio e non già d'estro fan-
tastico, lo allontanano assai da quello £he è stato
il vero secentismo pittorico.

Nell'ambiente romano, l'accademismo del Ma-
ratti doveva necessariamente avere una vasta ri-
sonanza, come possiamo verificare con la numerosa
schiera dei maratteschi, dei quali non basta notare
la nullità artistica (avrebbero potuto anch'essere
dei secentisti falliti), per dispensarci dal tener
conto del loro fenomeno complessivo, sia pure da
un punto di vista culturale.

Il marattismo, anche quello del Maratti delle
sue opere più a freddo, rappresenta la crisi del se-
centismo a Roma nel tempo in cui sorgeva l'Arca-
dia, n'è la sua manifestazione più palese.

Non occorre esaminare una per una le tante
opere del Calandrucci e di Giuseppe Passeri, del
 
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