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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 27.1924

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Fasc. 1
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Ortolani, Sergio: Coltura ed arte, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17344#0050

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SERGIO ORTOLANI

e la valorizza valendosi di masse piane di colori póstele a fianco, per cui l'ammorza o
l'accende e le dà insomma quel « valore » e accento definitivo. È questa quella « poca
favilla » donde trasse la sua grande fiamma Tiziano.

Non solo! Chè Giorgione lo presente anche nella spiritosa e franca maniera di pennel-
leggiare, or tingendo secco e sfruttando la tela, or tagliando con colpi di striscio sullo
scuro la barba del manigoldo, come nel Cristo di S. Rocco. Oltre a questo, prepara
la pittura di « valore » opponendo, come qui, le forme luminose sul fondo opaco e
bruno, memore, ma con ben altro spirito, della scuola di Leonardo. E qua e là, specie
nella Tempesta, egli acquista un senso tattile delle superfici e sfrutta quel loro ritenere o
o spegnere la luce, accostando l'intatto chiaro della ignuda e del lenzuolo al velluto
ombroso del prato, al giocare delle luci del cielo nel ruscello, al nitore della mezzacolonna
sul muricciolo emerso dall'erba, al mirare fiso delle opache facciate di quelle case lontane.

Ormai la nuova favella era nei suoi elementi concreta; e Palma il vecchio e il giovine
Tiziano e Sebastiano del Piombo ne riprenderanno l'eloquio: perfino Giambellino, rin-
novellato, canterà il suo più bel canto nella Pala di San Giovanni Crisostomo. Anche i
Vivarineschi e fin Lorenzo Lotto, adusati alla forma, sentito Giorgione la distrugge-
ranno nella pasta del colore tonale; e tutta la pittura veneta, meno il quattrocentissimo
Carpaccio, idealizzatore per piani colorati del verdazzurro del mare e della società orien-
taleggiante dei mercanti e dei navigatori repubblicani, intonerà la freschissima voce.
Se Giorgione è un « classico », un idealizzatore della forma come Leonardo e Raffaello,
ma con una sensualità gentilissima preannunziatrice degli affusati illascivimenti del
Correggio; se Giorgione è un « lirico puro » del colore, un istrumentatore di sogni, egli
è, come i grandi contemporanei, l'individuo d'una generale civiltà suntuosamente ma-
tura. Non si pensi che la sua virginea genuinità, il suo farsi origine d'un nuovo idioma,
lo distinguano troppo dallo spirito del tempo! La misteriosità della morte, l'incertezza
delle notizie biografiche, la esiguità delle opere parrebbe dovessero dargli la lontananza
del mito. Ma se un nuovo ideale artistico egli sostituisce, aprendo le vie alla pittura
moderna, quando esausta declinava in Roma la toscana civiltà, quello ch'è intimo del
suo spirito — quella fusione di mitologia e d'attuale ricchezza in una visione fuori del
tempo e tutta estetica del reale — partecipa di tal Correggio e di tal Raffaello. Il Sogno
del cavaliere e le Tre Grazie di quest'ultimo non gli sono lontane! Quello che l'italiano
fiore del Rinascimento portava: una aulicità d'aggraziato costume degli spiriti, una fa-
miliarità eguale del mito pagano e cristiano, compenetrati in una sola adorazione delle
bellezza, in quanto è questa il più divino sogno dei poeti: tutto vive nel suo spirito. Ma,
dove la coltura e la ricerca di accentuazione e di carattere s'irrigidivano nella scienza
esatta, la vecchia lingua e l'invenzione toscana si formularizzavano in cifre e schemi
e in una decorativa composizione di simboli astratti; mentre, nella forza veneta che
toccava l'inizio del suo trionfo nell'arte, tutta la realtà si riproponeva nel nuovo lin-
guaggio come sana e godibile realtà e la sensualità più franca era il suggello di questa
rinnovata giovinezza.

{Continua).

Sergio Ortolani.
 
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