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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 27.1924

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Fasc. 2
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Chiappelli, Alessandro: Una nuova opera di Domenico Veneziano
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https://doi.org/10.11588/diglit.17344#0120

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ALESSANDRO GHIAPPELLI

studiosi della nostra arte, per graziosa concessione del mio amico prof. Attilio Formilli
in Firenze, esperto conoscitore e diligente restitutore di pitture antiche, attuale custode
di questo dipinto prezioso. L'anconetta misura per larghezza cent. 23,06, per altezza
cent. 40,05. I lati sono di cent. 34,07; e di cent. 8 il listello di legno sul quale posava la
cornicetta, manifestamente ridotto quando questa fu sovrapposta. La tavoletta proviene
dalla Casa dei Conti Boutourline, e da una ricca collezione di opere d'arte ora dispersa.
Fu tolta dalla sua cornice originale, come si può congetturare, circa un mezzo secolo
fa, per esser collocata in un tabernacolo moderno più ricco e sfarzoso. Fu allora proba-
bilmente che vennero scritte, a tergo della tavola, le parole « di Domenico Veneziano »,
come ora si vedono, insieme al timbro con lo stemma della Casata. Ora questa circo-
stanza è di singolare rilievo. Il nome di Domenico Veneziano, specialmente un mezzo
secolo fa, non aveva un tal grido che l'attribuirlo 0 il darlo per opera di quel maestro,
potesse crescere valore ad un dipinto, come se, invece, si fosse scritto a mano «del Botti-
celli », o « di Fra Filippo », o « del Ghirlandaio ». Se, dunque, fu segnato proprio quel nome,
generalmente, e specie a quel tempo, mal noto, è a credere che con quell'atto si volesse
fermare un ricordo della sicura paternità e provenienza dell'opera; sia che nella vecchia
cornice dell'anconetta fosse già segnato quel nome, sia che questa tavoletta facesse parte,
come ora diremo, di una più vasta opera con quel nome segnata. Notevole singolarità
è questa: che Domenico è, fra i nostri pittori del primo Quattrocento, il solo (forse con
Paolo Uccello), che usasse apporre il suo nome ai propri lavori. Dei due soli dipinti che
di lui ci son rimasti, la tavola degli Uffizi, sul gradino ove posa la Vergine madre, reca
la dicitura: Opus. Dominici, de Venetiis Nell'altro, il tabernacolo ora a Londra, si legge
pure nel gradino: Dominicus de. Veneciis. F.

Con questo importante dato esterno s'accordano poi assai chiaramente i caratteri sti-
listici, sì del disegno e sì del colorito. In nessun altro pittore del Quattrocento fiorentino
si ritrova quel colore tenero, luminoso, trasparente, che questa piccola ancona ha in
comune con le due note opere maggiori e con la predella di Berlino; carattere che la cri-
tica giustamente ha detto derivare in Domenico Veneziano dall'esempio di Masolino
e di Fra Angelico, e fors'anche delle prime cose di Fra Filippo, le quali da Masolino
ritraggono più che da Masaccio. Vero è che il Rumhor ' e il Cavalcaseli più tardi,2 i
quali, come anche il Milanesi, videro la tavola degli Uffizi ancora al suo posto prima che
da uno degli altari di S. Lucia dei Magnoli fosse trasferita, come avvenne nel 1862, alla
galleria fiorentina, non dovettero provare quella impressione che oggi a prima vista ella
fa, di opera alquanto pallida e scolorita, per effetto di una ripulitura troppo energica
che ha diminuito la forza delle ombre, i toni generali e la proporzione dei colori, forse
più vigorosi e sugosi un tempo che oggi non appaiano.3 Ma anche così com'è oggi, l'occhio
esperto vi scorge bene, come dice lo Schmarsow, l'effetto coloristico e luminoso che an-
nunzia nel maestro veneziano (forse tale più per la provenienza paterna che pei natali)
il maestro di Piero dal Borgo San Sepolcro. Or bene, questo carattere diafano e lucente
del colorito ritroviamo anche più visibile in questa piccola crocifissione; nella quale il
santo di destra (San Benedetto) è vestito di una tunica bianca, e quello a sinistra, più
giovane, di grigio chiaro e quasi cilestrino (forse S. Lodovico di Tolosa, il francescano
fatto vescovo). Questa singolare intonazione o gamma generale di colore non si trova in
altro pittore del Quattrocento fiorentino. Ma vi hanno altresì alcune particolarità che

1 Rumhor, Italienische Forschungen (18.21), ir,

262.

2 Cavalcaselle, Stor., v, 127 s.

3 Questo può spiegare l'equivoco in cui incorse
il Baldinucci, il quale (Notine, ecc., 1,500, ed. fior,
del 1845), nonostante l'indicazione del Vasari

(IV, 147 Le Monnier), attribuisce ad Andrea del
Castagno la tavola di S. Lucia dei Magnoli: cir.
il Richa, Chiese Fiorentine, X, 294 e seg., che
segue l'erronea attribuzione del Baldinucci senza
ricordare il Vasari.
 
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