BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
133
G. J. Hoogewerff. Jan Vati Scorei peintre de
la Renaissance hollandaise. La Haye, 1923,
pag. 151, tav. 66.
Dopo il breve studio pubblicato nel 1914, l'Hoogewert,
in questa nuova monograna, più vasta e completa, profila
la figura dello Scorei, architetto, ingegnere, musicista, poeta,
latinista, umanista, molto vicino all'ingegno italiano, il cui
maggior fascino sta appunto nella sua affinità con l'arte
nostra. Seguendo la biografia del Van Mander, sfrondata
però da alcuni aneddoti evidentemente fantastici, si deter-
mina l'evoluzione artistica del pittore, dall'esordio, pretta-
mente olandese, del trittico di Obervellach, alle opere in cui
più spiccano gli influssi del genio italiano.
Punti culminanti nella vita e nell'arte — fonti delle
maggiori ispirazioni — i due viaggi a Venezia e a Roma. Lo
studio del Giorgione e di Palma il vecchio è manifesto nella
Morte di Cleopatra ma quanto inferiore alla meravigliosa
Venere giorgionesca si rivela questa creazione dello Scorci!
Si risente il Mantegna nei nudi, non scevri di accademismo,
del Battesimo di Cristo di Haarlem, cosi come Michelangelo
traspare evidente da quelli del Buon Samaritano e del trit-
tico di Breda che non sempre è opera, come dice l'autore,
estremamente fredda. Alcuni particolari, anzi, tra cui il mu-
scoloso S. Girolamo, che assomiglia stranamente ai due
S. Girolamo tizianeschi di Brera e del Louvre, sono real-
mente possenti.
Interessantissima è la serie dei ritratti, dal piccolo capola-
voro della galleria Doria, qui a Roma, raffigurante la giovane
amica del pittore Agata Vari Schoonhoven (che riapparirà
più tardi nella dolcissima Maddalena di Amsterdam) fino
ai ritratti dell'ultimo periodo, all'aperto, con sfondi di pae-
saggio, più superficiali, ma di maggiore ricchezza colori-
stica. Non sempre ordinata è la linea seguita dall'autore nella
determinazione cronologica delle varie opere e nell'esame di
esse. Più chiaro sarebbe riuscito certamente scindendo le
notizie riguardanti la vita del pittore dall'analisi dell'arte.
Non spiega poi l'Hoogewerf le ragioni per cui include, tra
le opere abusivamente attribuite allo Scorei, il ritratto di
donna della Galleria Nazionale di Roma, il quale, insieme con
l'altro d'uomo, della stessa Galleria (non nominato dall'au-
tore), può, con molta probabilità, ascriversi allo Scorei stesso.
Comunque, il pregio maggiore della monografia, accurata
nei particolari e ricca di belle fotografie, è quello di mettere
in giusta luce, senza facili quanto inutili esaltazioni, il
pittore umanista, il canonico agiato, tranquillo gaudente,
sodisfatto delle sue produzioni e degli elogi dei letterati
suoi amici innamorato dell'arte italiana, ma non abbastanza
profondo per comprenderla nel suo intimo significato di
rinnovamento spirituale, imitatore quindi spesso di parti-
colari più esteriori che essenziali, alla cui assimilazione
completa manca ogni arditezza di slancio. Inferiore perciò
a Luca di Leyda e al Bruegel, lo Scorei rimane importan-
tissimo per la sua arte di transizione, la quale riassume i
caratteri precipui di quel rinascimento che, nei paesi del
Nord, fu avvivato dall'inestinguibile luce emanante da
Roma. AM. O.
Vili. - "Seicento,, e "Settecento,,
G. Fiocco, Francesco Guardi. Con CXXIX ta-
vole, ed. L. Battistelli, Firenze, 1924.
Più che al nome solo di Francesco, questo studio di Giu-
seppe Fiocco potrebbe intitolarsi al nome dell'intera fa-
miglia Guardi. Tanto in questa sessantina di dense e serrate
pagine è affrontato in pieno il problema di questa famiglia di
pittori veneziani, d'origine trentina, attorno ai quali si an-
nodava un oscuro groviglio di quesiti estetici e storici, com-
plicati e disordinati da errori di apprezzamenti e di attribu-
zioni consacrati da una fallace tradizione che nessuno stu-
dioso aveva àvuto finora il coraggio e l'abilità di sfatare.
Nonostante che nomi come quelli del Berenson e del Friz-
zoni (attribuzioni del Parlatorio delle monache e del Ri-
dotto, entrambi nel Museo Civico Veneziano), e ancora i
cenni monografici del Simonson e più recentemente di Henry
Lapauze, e le opinioni e i contributi di Paul Lerov, di
W. G. Constable (in Burlington Magazinc, 1921), di Kann
(L'Arte, 1907), del Ravà e del Fogolari, nonostante questo
vario ed interessante ma sporadico fiorire di studi sui Guardi,
si era ben lontani da un'opera ricapito'.atrice in un senso,
critica e ricostruttrice in altro.
Ora a me sembra che Giuseppe FMocco vale a dire uno dei
più severi e acuti studiosi d^lla pittura veneziana, questo
abbia fatto col volume di cui parliamo. Che è insieme di vi-
vace polemica e di coraggiosa affermazione. Distrugge l'ar-
bitraria voce che faceva del Guardi un cattivo Canaletto,
affermando che il fratello Antonio, nato quattordici anni
prima di lui, ebbe su questi naturale e profonda influenza,
ben maggiore di quella vantata ed appariscente di Antonio
Canal. Dopo di avere stabilita una parentela con i paesag-
gisti del ceppo riccesco (più per via di Marco Ricci che di Se-
bastiano) e però col Zais e lo Zuccarrlli piuttosto che coi
panniniani o coi prospettici bibbieneschi, ci viene a parlare
di un Francesco Guardi figurista. E a dimostrarlo consumato
pittore di figura, oltre che di un convincente esame stilistico
di quel suo fare frizzante, bambagioso, sfrangiato e sfilac-
cioso, del suo segno incerto tremulo e vago, anzitutto si
serve, ad un tempo come documento e come fonte stili-
stica dei disegni che Teodoro Correr ebbe in vendita dal
tìglio Giacomo Guardi a più riprese circa l'anno 1829.
Ma questo capitolo del volume dedicato alla scoperta di
un Guardi figurista non è, come a qualche recensore è ap-
parso, il più importante e saliente; poiché, come assai giusta
mente l'autore afferma, F'rancesco Guardi rimarrà soprat-
tutto pittore di paesaggi, di vedute, di fantasia; le sue opere
di figura non sono che un preambolo per giungere a questa
gioia; preparazione e spiegazione insieme delle qualità raf-
.filiate che ne fanno il cantore in colori di Venezia.
Più interessanti ci sembrano i capìtoli V e VII. Nel V. la
chiave di un enigma, si presenta la famiglia Guardi con un
codice di morale artistica che ha per base il plagio; 0 una
serie di lucidissimi confronti dànno pienamente ragione al
Fiocco; attraverso alle opere dei Guardi ecco trasparire i
prototipi di Tintoretto, di Domenico Feti, di Solimena, di
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G. J. Hoogewerff. Jan Vati Scorei peintre de
la Renaissance hollandaise. La Haye, 1923,
pag. 151, tav. 66.
Dopo il breve studio pubblicato nel 1914, l'Hoogewert,
in questa nuova monograna, più vasta e completa, profila
la figura dello Scorei, architetto, ingegnere, musicista, poeta,
latinista, umanista, molto vicino all'ingegno italiano, il cui
maggior fascino sta appunto nella sua affinità con l'arte
nostra. Seguendo la biografia del Van Mander, sfrondata
però da alcuni aneddoti evidentemente fantastici, si deter-
mina l'evoluzione artistica del pittore, dall'esordio, pretta-
mente olandese, del trittico di Obervellach, alle opere in cui
più spiccano gli influssi del genio italiano.
Punti culminanti nella vita e nell'arte — fonti delle
maggiori ispirazioni — i due viaggi a Venezia e a Roma. Lo
studio del Giorgione e di Palma il vecchio è manifesto nella
Morte di Cleopatra ma quanto inferiore alla meravigliosa
Venere giorgionesca si rivela questa creazione dello Scorci!
Si risente il Mantegna nei nudi, non scevri di accademismo,
del Battesimo di Cristo di Haarlem, cosi come Michelangelo
traspare evidente da quelli del Buon Samaritano e del trit-
tico di Breda che non sempre è opera, come dice l'autore,
estremamente fredda. Alcuni particolari, anzi, tra cui il mu-
scoloso S. Girolamo, che assomiglia stranamente ai due
S. Girolamo tizianeschi di Brera e del Louvre, sono real-
mente possenti.
Interessantissima è la serie dei ritratti, dal piccolo capola-
voro della galleria Doria, qui a Roma, raffigurante la giovane
amica del pittore Agata Vari Schoonhoven (che riapparirà
più tardi nella dolcissima Maddalena di Amsterdam) fino
ai ritratti dell'ultimo periodo, all'aperto, con sfondi di pae-
saggio, più superficiali, ma di maggiore ricchezza colori-
stica. Non sempre ordinata è la linea seguita dall'autore nella
determinazione cronologica delle varie opere e nell'esame di
esse. Più chiaro sarebbe riuscito certamente scindendo le
notizie riguardanti la vita del pittore dall'analisi dell'arte.
Non spiega poi l'Hoogewerf le ragioni per cui include, tra
le opere abusivamente attribuite allo Scorei, il ritratto di
donna della Galleria Nazionale di Roma, il quale, insieme con
l'altro d'uomo, della stessa Galleria (non nominato dall'au-
tore), può, con molta probabilità, ascriversi allo Scorei stesso.
Comunque, il pregio maggiore della monografia, accurata
nei particolari e ricca di belle fotografie, è quello di mettere
in giusta luce, senza facili quanto inutili esaltazioni, il
pittore umanista, il canonico agiato, tranquillo gaudente,
sodisfatto delle sue produzioni e degli elogi dei letterati
suoi amici innamorato dell'arte italiana, ma non abbastanza
profondo per comprenderla nel suo intimo significato di
rinnovamento spirituale, imitatore quindi spesso di parti-
colari più esteriori che essenziali, alla cui assimilazione
completa manca ogni arditezza di slancio. Inferiore perciò
a Luca di Leyda e al Bruegel, lo Scorei rimane importan-
tissimo per la sua arte di transizione, la quale riassume i
caratteri precipui di quel rinascimento che, nei paesi del
Nord, fu avvivato dall'inestinguibile luce emanante da
Roma. AM. O.
Vili. - "Seicento,, e "Settecento,,
G. Fiocco, Francesco Guardi. Con CXXIX ta-
vole, ed. L. Battistelli, Firenze, 1924.
Più che al nome solo di Francesco, questo studio di Giu-
seppe Fiocco potrebbe intitolarsi al nome dell'intera fa-
miglia Guardi. Tanto in questa sessantina di dense e serrate
pagine è affrontato in pieno il problema di questa famiglia di
pittori veneziani, d'origine trentina, attorno ai quali si an-
nodava un oscuro groviglio di quesiti estetici e storici, com-
plicati e disordinati da errori di apprezzamenti e di attribu-
zioni consacrati da una fallace tradizione che nessuno stu-
dioso aveva àvuto finora il coraggio e l'abilità di sfatare.
Nonostante che nomi come quelli del Berenson e del Friz-
zoni (attribuzioni del Parlatorio delle monache e del Ri-
dotto, entrambi nel Museo Civico Veneziano), e ancora i
cenni monografici del Simonson e più recentemente di Henry
Lapauze, e le opinioni e i contributi di Paul Lerov, di
W. G. Constable (in Burlington Magazinc, 1921), di Kann
(L'Arte, 1907), del Ravà e del Fogolari, nonostante questo
vario ed interessante ma sporadico fiorire di studi sui Guardi,
si era ben lontani da un'opera ricapito'.atrice in un senso,
critica e ricostruttrice in altro.
Ora a me sembra che Giuseppe FMocco vale a dire uno dei
più severi e acuti studiosi d^lla pittura veneziana, questo
abbia fatto col volume di cui parliamo. Che è insieme di vi-
vace polemica e di coraggiosa affermazione. Distrugge l'ar-
bitraria voce che faceva del Guardi un cattivo Canaletto,
affermando che il fratello Antonio, nato quattordici anni
prima di lui, ebbe su questi naturale e profonda influenza,
ben maggiore di quella vantata ed appariscente di Antonio
Canal. Dopo di avere stabilita una parentela con i paesag-
gisti del ceppo riccesco (più per via di Marco Ricci che di Se-
bastiano) e però col Zais e lo Zuccarrlli piuttosto che coi
panniniani o coi prospettici bibbieneschi, ci viene a parlare
di un Francesco Guardi figurista. E a dimostrarlo consumato
pittore di figura, oltre che di un convincente esame stilistico
di quel suo fare frizzante, bambagioso, sfrangiato e sfilac-
cioso, del suo segno incerto tremulo e vago, anzitutto si
serve, ad un tempo come documento e come fonte stili-
stica dei disegni che Teodoro Correr ebbe in vendita dal
tìglio Giacomo Guardi a più riprese circa l'anno 1829.
Ma questo capitolo del volume dedicato alla scoperta di
un Guardi figurista non è, come a qualche recensore è ap-
parso, il più importante e saliente; poiché, come assai giusta
mente l'autore afferma, F'rancesco Guardi rimarrà soprat-
tutto pittore di paesaggi, di vedute, di fantasia; le sue opere
di figura non sono che un preambolo per giungere a questa
gioia; preparazione e spiegazione insieme delle qualità raf-
.filiate che ne fanno il cantore in colori di Venezia.
Più interessanti ci sembrano i capìtoli V e VII. Nel V. la
chiave di un enigma, si presenta la famiglia Guardi con un
codice di morale artistica che ha per base il plagio; 0 una
serie di lucidissimi confronti dànno pienamente ragione al
Fiocco; attraverso alle opere dei Guardi ecco trasparire i
prototipi di Tintoretto, di Domenico Feti, di Solimena, di