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Canina, Luigi
L' architettura antica (Testo): Sezione 2, Architettura greca: Monumenti — Rom, 1834-1841

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https://doi.org/10.11588/diglit.4999#0062

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38 ARCHITETTURA GRECA. PARTE I.

Maggiori furono ancora le devastazioni che fecero i Persiani nelle città della Grecia, dopo che l'armata di
Serse transitò il Bosforo sul grande ponte ivi formato, (7) e che quindi per il tradimento di Epialte passò le Termo-
poli; quelle della Focide, compreso Abe, ove era un tempio di Apollo ricco ed ornato di molti tesori, Platea e
Tespie della Boezia, e quelle dell'Attica furono tutte coi loro tempj distrutte. Atene stessa non fu in tale inva-
sione esente dal furore dei Persiani. In tale occasione, salendo questi per la parte della rupe,[ove stava il tempio
di Aglauro, s'impossessarono della Rocca, e distrussero il tempio di Minerva, con gli altri edifizj degli Ateniesi
che stavano colà situati (8). Aristide e Temistocle, nel liberare per la seconda volta la Grecia dalle armi Persiane,
salvarono alcune altre città dalla distruzione colla celebre vittoria navale di Salamina. E quindi la indipen-
denza dei Greci venne consolidata con quella di Platea, riportata sull'armata di Mardonio, il quale pure grandi
danni aveva recato alle cose loro, e principalmente a quelle degli Ateniesi, essendo stata la città loro di nuovo
per ordine suo incendiata, e dove era ancora in piedi alcuna cosa o sia di mura, o sia di edifìzj, tanto sacri che
profani, tutto fu rovesciato e rovinato (9).

Nel tempo stesso poi che i Greci si combatterono alle Termopoli con Leonida, si narra che in Sicilia
con uno stratagemma di Gelone fu intieramente distrutta la grande armata dei Cartaginesi, che sotto il comando
di Amilcare si era ivi recata per sottomettere l'isola. E similmente nel giorno stesso, in cui si ottenne dai Greci
la vittoria di Platea, gli altri Greci della Jonia comandati da Leotichide Lacedemone, e da Santippo Ateniese,
vinsero presso a Mieale i Persiani che colà si erano riuniti dopo la battaglia di Salamina, e li obbligarono a ri-
tirarsi nelle regioni più interne dell'Asia. Così tanto i popoli della Grecia, che quelli della Jonia e della Sicilia
ad un tempo stesso si liberarono da tutti gli stranieri che avevano invasi i loro paesi.

Quelle città che furono maggiormente danneggiate nelle invasioni dei Persiani, decisero di comun sentimento
di non rialzare i tempj che furono arsi. Tra i principali tempj dei Greci pare che solo venisse rispettato, nella
Jonia quello di Diana Efesia, e nella Grecia quello di Delfo, l'uno per l'ammirazione della sua struttura, (10)
e l'altro per un timore avvenuto ai Persiani, allorché si rivolsero a quello per saccheggiarlo (11). Ma tutti quelli
che furono arsi stabilirono i Greci di lasciarli in eterno nel loro stato di distruzione, come monumenti della inimi-
cizia, che dovevano conservare contro iPersiani per i tanti disastri ricevuti. Perciò quei tempj che si trovavano
presso a coloro che conservarono tale proposta, come erano quelli che stavano in Aliarza, quello di Giunone
sulla via di Palerò, quello di Cerere in Falcio stesso, e quello di Abe rimanevano insieme con altri sino ai tempi
di Pausania, nello stato in cui il fuoco dei Persiani li aveva ridotti (l 2). Altri poi nonostante tale deliberazione,
vennero di nuovo l'istaurati o intieramente riedificati, siccome si hanno molte prove, principalmente dai resti

(7) Erodot. in Polirmi, ed in Uran. Il ponte che si formò sul
Bosforo per fare transitare in Europa l'annata di Serse, fu in questa
occasione eseguito anche più grandioso, di quello fatto da Man-
•drocle per Dario. Imperocché venne questo composto di due ponti
fi istinti, collegati con gomene di lino portate dai Fenici, e con altre
di hiblo recate dagli Egiziani. Essendo questi ponti stati scompo-
sti da una terribile tempesta di mare, Serse ordinò che si punisse
il mare stesso con vane pene: ma più validi furono quelle intimate
a coloro che avevano diretto il lavoro ; poiché gli fu tagliatala testa.
Ricomponendosi tali ponti da altri architetti con maggior sicurezza,
formarono (fucilo che stava verso il Ponte Eusino con trecento quat-
tordici navi di tre e cinque ordini di remi, messe per il lungo, e
quello verso l'Ellesponto con trecento sessanta navi messe a secon-
da della corrente. Dopo che furono collegate tutte quante le due
file di navi con le gomene di lino e di biblo, vi disposero sopra
dei grossi legni per traverso e quindi degli altri per lungo. So-
pra queste travature composero dei tavolati ben connessi, i quali
coprirono con terre spianate, e nei due lati formarono delle alti
siepi per impedire clic i cavalli non si spaventassero del mare.
Questo ponte doveva essere lungo circa sette stadj, perchè tale era
la distanza tra Abido e l'opposto continente, ove si formò la des-

critta congiunzione. I Greci poi per impedire chei Persiani inva-
dessero tutto il paese, costrussero un grande muro sull'istmo che
giungeva dall'un'all'altro lato del mare: e tanto l'opera fu eseguita
con somma sollecitudine, poiché vi lavorarono insieme molti Greci.
[Pluf, in Temist.)

(8) Erodot. in Urania. Erodoto nel descrivere i grandi disa-
stri che recarono i Persiani agli edifìzj degli Ateniesi, racconta
che insieme col tempio di Eretteo, che stava innalzato sopra la
Rocca, si arse l'olivo, il quale si conservava ivi come testimonio,
unitamente al pozzo dell'acqua di mare, della contesa di Minerva
e di Nettuno sulla protezione dell'Attica. Ma il secondo giorno do-
po l'incendio, quegli Ateniesi che avevano ricevuto l'ordine da
Serse di fare un sacrifizio per uno scrupolo venuto allo stesso Re
per aver fatto abbruciare il tempio, credevasi che avessero essi tro-
vato il ceppo dell'olivo che aveva cacciato un germoglio della lun-.
ghezza di un cubito.

(9) Erod. in Calliop. e Diod. Lib. \ i.

(10) Satin. Polyhist. e. 43.

(11) Erod. in Uran. e Diod Lib. 11.

(12) Paus. Lib. 10. e. 35. Il tempio di Abe però sembra
essere stato riedificato, e di nuovo incendiato dai Tebani.
 
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