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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 7.1904

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Fasc. 1
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Rossi, Attilio: Opere d'arte à Tivoli, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.24149#0058

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OPERE D'ARTE A TIVOLI

15

numerosi lavori eseguiti dal caposcuola degli orafi abbruzzesi, che egli non trascurò per
altro di segnare col suo .nome, vieta di riconoscere come suo anche il reliquiario di Tivoli.
Sappiamo bensì che a lui non rimasero ignote alcune delle nuove tendenze artistiche
del Rinascimento ed anzi qualche sua opera, come il celebre paliotto di Teramo,1 manifesta
una inconsueta franchezza nell’appropriarsi invenzioni di tipi e di scene, rappresentate dal
Ghiberti nelle prime porte del battistero di Firenze. Tuttavia l’imitatore non seppe mai battere
in questo nuovo campo alcuna via indipendente ed ognora le tenaci tradizioni dell’antiquata
arte abbruzzese mantennero il loro predominio nell'opera sua e le impressero l’indelebile
carattere regionale. I motivi architettonici ancora schiettamente ogivali, la predilezione per
le scene affollate di personaggi, complicate, rimarchevoli per l’affettata drammaticità, il
carattere gotico degli abbigliamenti e delle pieghe, la ripugnanza per le superfici piane,
tranquille, rettilinee, sobriamente ornate, ed invece la ricerca della decorazione fastosa, gli
esuberanti fogliami, la profusione dei multiformi accessori, come sfere, dischetti, stelle, frutta,
lavorati a giorno, le frequenti iscrizioni a lettere gotiche, infine tutte le particolarità proprie
della oreficeria abruzzese, dal secolo xin fino al principio del Cinquecento, appaiono fedelmente
riassunte nelle opere di Nicola da Guardiagrele, sebbene affinate ed ingentilite dal suo talento
personale veramente rimarchevole. Le croci processionali di Aquila,2 quella che egli eseguiva
nel 1451 per la basilica di San Giovanni in Laterano,3 l’ostensorio di Francavilla al mare,
il reliquiario di Atessa,4 * giustificano il nostro giudizio e mostrano l’erroneità di tale attribuzione.

Nè le opere di altri orefici abbruzzesi, che più si distinsero in quel tempo, rivelano
un sentimento artistico diverso. Così il finissimo reliquiario cesellato da Andrea da Guar-
diagrele per la cattedrale di Francavilla al mare,s la croce da lui eseguita per la chiesa di
Lanciano,6 l’ostensorio di Nicola di Franco (1465), oggi nella stessa chiesa,7 presentano pecu-
liarità ornamentali, inveterate nella loro scuola ed invincibili, che non consentono alcun rav-
vicinamento di stile con il trittico del reliquiario di Tivoli.

Questo, per la semplicità e la chiarezza della sua struttura, l’applicazione costante dei
principi architettonici della prima Rinascenza, la sobrietà decorativa, il sentimento di tran-
quillità, di dolcezza che spira nelle figure e nella scena dell’Annunciazione, la compostezza
dei loro gesti e degli abbigliamenti, le iscrizioni in caratteri umanistici, ci conduce a rin-
tracciarne l’origine nell’arte di quella regione d’Italia, che allora, quasi da sola, offriva alle
maggiori città della penisola i più rari talenti e le più squisite primizie del Rinascimento.
E noto come dalla Toscana e da Firenze precipuamente, fin dai primi anni del Quattrocento,
schiere numerose di artisti accorressero a Roma, attratti dal generoso mecenatismo col quale
i pontefici umanisti di quel tempo, anche fra le torbide vicende politiche, miravano con lena
ardente a ripristinarne la bellezza, il fasto e la cultura. Accanto ai nomi eminenti di Pisa-
nello, di Gentile da Fabriano, di Masolino, del Ghiberti, di Donatello, dell’Angelico, del
Gozzoli, del Filarete, lo spoglio degli archivi pontifici e privati, ci ha rivelato l’operosità
d’innumerevoli artisti minori, orafi, miniatori, tessitori, vetrai, intenti a rifornire le spogliate
guardarobe ecclesiastiche e papali, della suppellettile dispersa nelle tempestose vicende dell’età

La calda sollecitudine con cui Martino V si accinse a restaurare i maggiori edifizi della
sua patria, la predilezione di Eugenio IV per le belle oreficerie e per i gioielli, la brama
entusiastica di Niccolò V per ogni opera, nella quale il prestigio della ricchezza e quello
dell’arte più raffinata, si combinassero per esaltare il lustro del papato e la sua munificenza,

precedente.

1 Bindi, op. cit., tav. 5.

2 Bindi, op. cit., tav. 13S.

barte, Histoìre des arts industriels, Paris, 1872-18751

Voi. II, p. 108.

4 Bindi, op. cit., tav. 161 e 166.

5 Bindi, op. cit., tav. 94.

6 Bindi, op. cit., tav. 99 e 100.

7 Bindi, op. cit., tav. 96.

3 II carattere ogivale delle arcate che adornano

questa croce ha persino indotto il Labarte a ritenerle

come eseguite nel secolo xiv e ad attribuire a Nicola

da Guardiagrele solo le figure e le composizioni. La-
 
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