OPERE D'ARIE A TIVOLI
9
I
I-'esistenza di un altro pittore Bartolomeo o Meo di
Guido da Siena, fiorito in questa città fra il cadere del
secolo XIII ed il principio del seguente,1 parrebbe che
potesse sollevare qualche imbarazzo nell’attribuire all’uno
o all’altro dei due artisti omonimi le pitture di Tivoli.
Ma un rapido confronto di queste con la maggior opera
conservataci di Meo di Guido, e la sola da lui firmata,
una grande tavola rappresentante la Vergine con santi,
che egli dipinse intorno al 1319 per la chiesa di Monte-
labate a Perugia ed oggi raccolta nella pinacoteca Van-
nucci di quella città, mostra con grande chiarezza la
rimarchevole differenza d’età e di stile che passa fra i due
pittori senesi. Il g'rande trittico di Perugia palesa infatti
con molta evidenza i caratteri arcaistici della vecchia pit-
tura senese, non temperati dalle grandi qualità particolari
all’arte dei suoi migliori rappresentanti, a Duccio di Buo-
ninsegna ed a Simone Martini.
L’intonazione bassa del colorito, rafforzata con om-
breggiature profonde, il disegno vigoroso, le forme ener-
giche e robuste, i panneggiamenti, alquanto pesanti, i
volti allungati, quasi triangolari negli angeli, le mani dalle
dita disgiunte e piegate ad arco, l’espressione grave, quasi
accigliata, sono caratteristiche le quali appaiono molto
spiccate nel quadro dipinto da Meo di Guido per la chiesa
di Montelabate, e non sono affatto familiari al pittore delle
nostre due tavole. Il quale ama invece i colori chiari, scar-
samente rilevati con ombre, le forme molli, tondeggianti ;
difetta alquanto di vigoria nel disegno, di profondità nel
modellato e si studia di raggiungere un tipo di bellezza
ideale, dall’espressione dolce e tranquilla.
Tuttavia anche le notizie forniteci dal Vasari intorno
all’arte di Bartolomeo Bulgarini e per le quali noi ap-
prendiamo che egli fu discepolo di Pietro Lorenzetti, non
sono tali da offrire un chiaro commento delle due pitture
di Tivoli. Il carattere plastico che il Lorenzetti suole im-
primere alle sue figure, il disegno vigoroso, la studiata
ricerca della drammaticità nell’espressione dei tipi e nelle
composizioni, la energia delle attitudini e dei gesti, la distri-
buzione sobria, quasi scultoria dei panneggiamenti e delle
pieghe, i vivaci contrasti delle ombre e delle luci, tutte
le particolarità che rivelano nello stile del grande maestro
senese l’influsso esercitato dalla scultura pisana, congiunto
con quello indiretto di Giotto, non si riflettono con suffi-
ciente chiarezza nel mutilato trittico del suo discepolo.
Questi, per i caratteri che abbiamo rilevati, rivela
piuttosto la sua derivazione dall’arte del caposcuola senese,
Duccio di Buoninsegna e la grande tavola che egli dipinse nel 1310 per il duomo di Siena
mostra con grande chiarezza tutti gli elementi, donde il nostro Bulgarini trasse più tardi i
materiali dell’arte sua. Così il tipo dell’angelo, che questi dipinse in una delle due tavole,
Fi:
— Bartolomeo Bulgarini
San Ludovico
Tivoli, Santa Maria Maggiore
Cavalcaselle e Crowe, op. cit , Voi. I, pag. 284; Milanesi, Scritti vari sull’arte toscana, pag. 43-44.
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I-'esistenza di un altro pittore Bartolomeo o Meo di
Guido da Siena, fiorito in questa città fra il cadere del
secolo XIII ed il principio del seguente,1 parrebbe che
potesse sollevare qualche imbarazzo nell’attribuire all’uno
o all’altro dei due artisti omonimi le pitture di Tivoli.
Ma un rapido confronto di queste con la maggior opera
conservataci di Meo di Guido, e la sola da lui firmata,
una grande tavola rappresentante la Vergine con santi,
che egli dipinse intorno al 1319 per la chiesa di Monte-
labate a Perugia ed oggi raccolta nella pinacoteca Van-
nucci di quella città, mostra con grande chiarezza la
rimarchevole differenza d’età e di stile che passa fra i due
pittori senesi. Il g'rande trittico di Perugia palesa infatti
con molta evidenza i caratteri arcaistici della vecchia pit-
tura senese, non temperati dalle grandi qualità particolari
all’arte dei suoi migliori rappresentanti, a Duccio di Buo-
ninsegna ed a Simone Martini.
L’intonazione bassa del colorito, rafforzata con om-
breggiature profonde, il disegno vigoroso, le forme ener-
giche e robuste, i panneggiamenti, alquanto pesanti, i
volti allungati, quasi triangolari negli angeli, le mani dalle
dita disgiunte e piegate ad arco, l’espressione grave, quasi
accigliata, sono caratteristiche le quali appaiono molto
spiccate nel quadro dipinto da Meo di Guido per la chiesa
di Montelabate, e non sono affatto familiari al pittore delle
nostre due tavole. Il quale ama invece i colori chiari, scar-
samente rilevati con ombre, le forme molli, tondeggianti ;
difetta alquanto di vigoria nel disegno, di profondità nel
modellato e si studia di raggiungere un tipo di bellezza
ideale, dall’espressione dolce e tranquilla.
Tuttavia anche le notizie forniteci dal Vasari intorno
all’arte di Bartolomeo Bulgarini e per le quali noi ap-
prendiamo che egli fu discepolo di Pietro Lorenzetti, non
sono tali da offrire un chiaro commento delle due pitture
di Tivoli. Il carattere plastico che il Lorenzetti suole im-
primere alle sue figure, il disegno vigoroso, la studiata
ricerca della drammaticità nell’espressione dei tipi e nelle
composizioni, la energia delle attitudini e dei gesti, la distri-
buzione sobria, quasi scultoria dei panneggiamenti e delle
pieghe, i vivaci contrasti delle ombre e delle luci, tutte
le particolarità che rivelano nello stile del grande maestro
senese l’influsso esercitato dalla scultura pisana, congiunto
con quello indiretto di Giotto, non si riflettono con suffi-
ciente chiarezza nel mutilato trittico del suo discepolo.
Questi, per i caratteri che abbiamo rilevati, rivela
piuttosto la sua derivazione dall’arte del caposcuola senese,
Duccio di Buoninsegna e la grande tavola che egli dipinse nel 1310 per il duomo di Siena
mostra con grande chiarezza tutti gli elementi, donde il nostro Bulgarini trasse più tardi i
materiali dell’arte sua. Così il tipo dell’angelo, che questi dipinse in una delle due tavole,
Fi:
— Bartolomeo Bulgarini
San Ludovico
Tivoli, Santa Maria Maggiore
Cavalcaselle e Crowe, op. cit , Voi. I, pag. 284; Milanesi, Scritti vari sull’arte toscana, pag. 43-44.