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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 7.1904

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Fasc. 1
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Miscellanea
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https://doi.org/10.11588/diglit.24149#0105

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MISCELLANEA

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presentando già tutti i caratteri dell’arte propria. Si
nota anche in questo lavoro qualche incertezza nelle
proporzioni del Cristo, le cui mani e i cui piedi, per
quanto modellati con estrema perfezione sono un po’
grandi : difetti questi che si osservano spesso negli ar-
tisti, che intorno alla metà del quattrocento si dedica-
rono allo studio dettagliato del corpo umano, come in
Andrea del Castagno, nel Baldovinetti e in altri. Così
pure il manto del Redentore è ancora sobrio, colle
pieghe lunghe e semplici usate dalla generazione ante-
riore, e che si trovano anche nel San Giovanni del
Verrocchio della tavola del Battesimo alle Belle Arti.

Per tutte queste ragioni mi sembra di non sco-
starmi troppo dal vero ritenendo questa terracotta
anteriore di qualche anno alle opere del Maestro, di
cui conosciamo esser le date tra il 1469 e il 1488,
eseguita, cioè, intorno al 1460. S’accrésce adunque
ancora il suo interesse : poiché ci troviamo di fronte
ad una delle prime opere note di questo grande artista,
che nacque nel 1435.

Per chiarire meglio questo punto, rispetto alle opere
del Verrocchio e alle date in cui furono eseguite,
richiamo lo studioso alla lettura d’un’interessantissima
pubblicazione, che fece il sig. Cornelio de Fabriczy
nell’Archivio storico dell’Arte del 1895 fascicolo III,
intitolata: Il Verrocchio al servizio dei Medici, nella
quale egli illustra un documento importantissimo, cioè
un elenco dei lavori forniti dal Verrocchio alla fami-
glia Medici, presentato dopo la loro cacciata, dal fra-
tello Tommaso agli ufficiali dei ribelli e ai sindaci dei
beni Medicei. Questo elenco registra quindici lavori,
sui quali.il Fabriczy dà tutti quegli ampii schiari-
menti che la sua vasta dottrina e profonda cono-
scenza della scultura fiorentina hanno potuto fornire.

I lavori indicati coi numeri /, 2, 3 sono congiunti sul
margine con una linea, dinanzi a cui sta scritto: per
a Careggi. Il n. 3 riguarda il putto di bronzo, ora nel
cortile di Palazzo Vecchio; il n. 4 parla d’una figura
di marmo che getta acqua, della quale non si cono-
scono le vicende. Il n. 5 dice: per una storia dì ri-
lievo chom (sic) più figure.

Non conoscendo allora il sig. Fabriczy l’esistenza
dell'opera in questione, naturalmente fece le più inte-
ressanti e argute congetture basandosi sugli inventari
Medicei, senza poterne trarre alcunché di positivo;
ma dopo la recente scoperta parrebbe che il soprac-
cennato paragrafo si dovesse poter riferire al rilievo
pubblicato, come anche pensa oggidì il sig. Fabriczy
stesso tanto più che se si fosse trattato d’un lavoro in
bronzo o in marmo il fratello Tommaso non avrebbe
omesso d’indicarne la materia per riscuoterne il valore.

Nulla del resto c’è a conferma di questa asserzione
nel noto inventario di Careggi del 1512, copia d’altro
più antico, fatto alla morte di Lorenzo il Magnifico
(1492). Esso parlando della cappella cila: una tavola
d’altare con cornice dorata, dipintovi dentro un sepolcro

con nostro Signore sconfitto dì croce, con cinque fi-
gure. Veramente se per caso volesse alludere al nostro
rilievo, in cui il sepolcro è realmente dipinto e sotto
il Cristo risorto stanno le cinque figure di guerrieri, biso-
gnerebbe convenire che l’inventario si fosse espresso
un po’ troppo inesattamente. Del resto, gli inventari
registrano generalmente soltanto gli oggetti mobili e
non si occupano degli affreschi e delle sculture mu-
rate.

Supponendo che quest’ opera sia realmente quel
rilievo citato da Tommaso Verrocchi, sarebbe inte-
ressante di conoscere dove potrebbe esser stato col-
locato in origine. Ora è degno di nota Tessersi la
costruzione di Careggi conservata intatta nello stile
del Michelozzo fin nelle modanature delle porte e
delle finestre, nelle mensole e nei capitelli tranne
che nella parte orientale del cortile, dov’è il pozzo,
che appartiene a un’epoca anteriore. Non vi è che la
sola porta della cappella, prospiciente in detto cortile,
che sia stata rifatta posteriormente in stile barocco.
Potrebbe quindi darsi che appunto sopra la primitiva
porta, fosse in origine collocato questo rilievo del Ver-
rocchio, e che ne fosse tolto per praticarvi in sua
vece una finestra a dar maggior luce all’intèrno della
cappella.

Carlo Gamba.

Tre quadri della raccolta dei principi del Drago
in Roma. — Proprio in questi giorni in cui si esalta
l’acquisto per la galleria del Louvre a Parigi di un
quadro del fantastico Domenico Theotocopuli detto
il Greco, ci piace di presentare ai nostri lettori il
quadretto della raccolta dei principi del Drago. Rap-
presenta il Cristo tra i manigoldi sul Calvario, mentre
attende l’ora del supplizio. Egli sta coperto di tunica
purpurea nel mezzo del quadro, e alza la testa e i
grandi occhi umidi di pianto verso il cielo a cui si
offre in sacrifìcio. Attorno soldati, manigoldi e la turpe
plebaglia: sgherri con alabarde, vecchi laceri, visi gri-
fagni, tutti che bestemmiano o tormentano T Uomo-
Dio. Una sola figura di guerriero, con le armi forbite,
lucenti, puntata la destra al fianco, guarda allo spet-
tatore. Intanto, nel primo piano, un manigoldo con
una trivella fora un legno, per mettervi il cartello col
nome del re de’ Giudei; e le Marie guardano con
spavento al lavoro di preparazione per inalberare la
croce. Sul fondo della folla che fa ressa intorno al
Cristo, s’elevano rupi azzurrine, su cui spiccano le
alabarde e le aste, le piume de’ cimieri e i caschi
lucenti.

Non v’è dubbio che l’opera appartenga a Domenico
Theotocopuli : vi sono qui le sue teste allungate, i
lunghi nasi grifagni, le mani dalle dita lunghe e affu-
solate, le carni livide; e vi è il suo colorire a sprazzi,
l’ebano delle chiome delle sue figure, l’intensità delle
ombre. Par che adoperi smalti e non colori a olio,
 
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